Trump presidente. Ha vinto anche Big Pharma?

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Alla fine, dopo tanto parlare, si è chiuso il capitolo delle elezioni USA 2016. E la vittoria è andata a Trump, il candidato meno sostenuto dal settore farmaceutico e del Biotech, tanto che la gran parte dei finanziamenti di queste industrie erano andati a sostegno della candidata democratica. E dire che nei giorni scorsi, specie dopo la conclusione delle indagini della FBI sull’emailgate che non ha trovato “alcuna evidenza di criminalità” contro la Clinton, la vittoria di quest’ultima era sembrata più vicina. I sondaggi davano comunque i due avversari molto vicini, con uno o due punti in più per Clinton.

Così, il giorno prima dell’Election Day anche la Biotechnology Index Nasdaq e S&P Biotech avevano preso un +3,7% e un +4,5%, rispettivamente. Ma un certo nervosismo ha cominciato a insinuarsi il giorno delle elezioni, con un iniziale calo che ha poi cambiato tendenza, tornando positivo nel pomeriggio. Quindi c’è stato il risultato della California Proposition 61, che ha respinto l’intenzione di abbassare i prezzi dei farmaci e che ha sostenuto un leggero aumento nel settore. Infine, è arrivato il risultato del voto. Il Nikkey del Giappone è sceso del 6% e a Hong Kong, l’Hang Seng è calato del 3%.

Anche il dollaro americano è affondato, mentre il peso messicano ha addirittura perso il 13%, in un crollo record. A Londra, il mercato dei futures ha perso più del 4% e anche il greggio è in ribasso. E con i repubblicani proiettati verso la vittoria anche del Senato e della Camera dei Rappresentanti, secondo quanto dichiarato da Kathleen Brooks, della società di broker inglese City Index, “Trump potrebbe attuare alcune tra le politiche più estreme annunciate in campagna elettorale, come i dazi sulle importazione e il divieto all’ingresso negli USA a determinati gruppi di immigrati. Questa è la grande preoccupazione dei mercati, in quanto potrebbe cambiare non solo la politica degli Stati Uniti, ma anche le norme economiche a livello globale”.

Addio all’Obamacare? Forse no
Uno dei piani sbandierati in fase pre-elettorale da Trump è stato sicuramente il progetto di strappare l’Obamacare, la riforma sanitaria voluta dall’ ex-presidente, cosa che con un Congresso repubblicano potrebbe accadere, sempre che Trump sia ancora disposto ad affossare un processo ormai integrato. I suoi sostenitori, però, potrebbero spingere a farlo, a prescindere dalla sua volontà. Per quanto riguarda l’aumento del prezzo dei farmaci, Trump, come la Clinton, si era schierato contro e aveva anche dichiarato che i politici sono in debito con l’industria farmaceutica. Trump era inoltre a favore della negoziazione del prezzo dei farmaci con Medicare, oltre a voler consentire la vendita di assicurazioni sanitarie attraverso i confini di stato.

La legge 21 Century Cures
Il sostegno del Congresso potrebbe anche rivelarsi influente sul disegno di legge 21° Century Cures, che vorrebbe cancellare alcuni nuovi e più veloci processi per lo sviluppo dei farmaci, un disegno appoggiato anche dall’industria farmaceutica. Lo stesso atto prevede lo stanziamento di due miliardi di dollari l’anno, per cinque anni, da destinare al National Institute of Health e alla ricerca clinica e altri 550 milioni di dollari per la FDA. Ma molti repubblicani sono infastiditi, considerandola una spesa eccessiva per il governo. Nel disegno di legge, poi, ci sarebbero anche elementi controversi, come l’aumento dell’uso dei markers per approvare i farmaci. Ma il problema è che non sempre questo metodo, soprattutto nell’oncologia, è indicativo di un beneficio clinico o della sopravvivenza.

Velocità non sempre equivale a qualità e l’ingresso nel mercato da parte dei medicinali in modo sempre più veloce preoccupa molti, tra cui la FDA, pur trattandosi di qualcosa di molto popolare tra gli americani, che vorrebbero i più recenti medicinali disponibili nel minor tempo possibile. Resta però il timore che la velocizzazione del processo possa portare ad attenuare il rigore sulle sperimentazioni. Il disegno di legge deve ancora passare, è vero, ma un Congresso repubblicano, vista la propensione a favorire le imprese, potrebbe approvarlo quasi sicuramente. Camera e Senato dovranno comunque tornare a lavorarci lunedì prossimo, anche se questo atto non è in cima alle priorità e anche se la legge è stata approvata con relativa facilità alla Camera lo scorso anno.

 

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