Le persone risultate positive al COVID-19 sviluppano più frequentemente sintomi associati a malattie cardiovascolari (CVD) e, come risultato della situazione pandemica, ci si aspetta un aumento del peso di queste patologie a medio e lungo termine, accompagnato dall’ urgenza di rispondere ad un crescendo di bisogni insoddisfatti nella gestione di questi pazienti. A confermarlo è una nuova analisi indipendente condotta dall’Economist e sponsorizzata da Daiichi Sankyo Europa.
Il rapporto “Links between Covid-19 and Cardiovascular Disease” pubblicato da Economist Impact ha esaminato le evidenze scientifiche ad oggi disponibili, al fine di misurare l’impatto che la pandemia ha avuto sui pazienti affetti da malattie cardiovascolari, sulla qualità e quantità di cure cardiovascolari offerte, nonché le implicazioni future del Long- COVID per i sistemi sanitari europei. Con un focus sulle regioni dell’Europa occidentale – in particolare Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito – i risultati principali del rapporto si basano su molteplici studi, pareri di esperti cardiologi, neurologi e professionisti coinvolti nella salute pubblica, al fine di identificare le aree di miglioramento necessarie ad affrontare le crescenti esigenze della comunità dei pazienti cardiovascolari.
L’impatto del virus sui rischi legati alle malattie cardiovascolari
Oltre alla crescente prevalenza dei fattori di rischio CVD, il rapporto dell’Economist Impact conferma che le persone che sono risultate positive al COVID-19 sono a più alto rischio di incorrere in patologie cardiovascolari ed eventi clinici correlati, quali insufficienza cardiaca, infarto miocardico, ictus e aritmia.
Uno studio britannico su quasi 50.000 persone ricoverate a causa di un’infezione da coronavirus ha rilevato che il 4,8% ha subito un evento cardiovascolare avverso importante durante i cinque mesi successivi alla dimissione, tre volte il tasso visto nel gruppo di controllo; una revisione di molteplici studi internazionali che hanno esaminato i risultati dell’ecocardiografia dei pazienti da tre a sei mesi dopo l’infezione da covid-19 ha riportato che, in media, il 40% di essi ha mostrato una disfunzione diastolica.
Tra coloro che sviluppano il covid-19, gli individui affetti da malattie cardiovascolari hanno fino a 3,9 volte più probabilità di sperimentare sintomi gravi e fino a 2,7 volte più probabilità di morire rispetto ai pazienti COVID non affetti da pregresse condizioni cardiovascolari[iii] E queste sono solo alcune delle numerose evidenze riportate nell’analisi dell’Economist.
Le implicazioni della risposta pandemica per i pazienti cardiovascolari
Il rapporto mette in luce anche le implicazioni indirette del COVID-19 sui sistemi sanitari e sulla cura delle malattie cardiovascolari. Durante la pandemia, la capacità limitata dei sistemi sanitari sovraccarichi, combinata alla paura dei pazienti di esporsi al virus, ha fatto sì che l’assistenza cardiovascolare sia stata ridotta a tutti i livelli, aumentando a sua volta la mortalità a breve termine e il rischio a lungo termine.
Ad esempio, uno studio della Società Italiana di Cardiologia su 54 strutture sanitarie ha riportato che i ricoveri in pronto soccorso per infarto miocardico acuto sono diminuiti del 48% nel periodo 14-21 marzo 2020 rispetto alla stessa settimana del 2019. Anche per il tipo di infarto più pericoloso – l’infarto miocardico con elevazione del segmento ST (STEMI) – i ricoveri sono diminuiti del 27%. Le ammissioni per l’infarto miocardico meno pericoloso, ma comunque molto grave (NSTEMI), sono diminuite del 65%. I dati di Stati Uniti, Cina e Regno Unito mostrano una tendenza simile. Lo stesso studio italiano ha rivelato che, oltre a un declino delle ammissioni in pronto soccorso, la mortalità tra i pazienti colpiti da infarto è aumentata, suggerendo che le persone arrivavano in ospedale già in gravi condizioni. Non solo questi ritardi nella ricerca del trattamento hanno portato a una maggiore mortalità, ma per coloro che sono sopravvissuti hanno esacerbato il rischio di malattie cardiovascolari croniche. Uno degli autori dello studio, il dottor Salvatore De Rosa, professore associato di cardiologia all’Università Magna Grecia e consulente per la stesura del report, ha notato nella sua clinica un numero più elevato di pazienti che presentano complicanze “che sono la prova di precedenti eventi acuti che non sono stati trattati. Dobbiamo tornare a tutti quei pazienti che sono rimasti indietro”.
Stando ai risultati del report, questo fenomeno è continuato nel medio termine; quasi un anno dopo l’inizio della pandemia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riportato ancora diffuse interruzioni nella gestione dell’ipertensione e nel trattamento cardiovascolare di urgenza. La ricerca condotta da Economist Impact ha scoperto che questa interruzione ha assunto forme diverse a diversi livelli di cura: dall’inevitabile mancanza di servizi di emergenza e gestione dei fattori di rischio ai ritardi nella diagnosi di CVD.
Gli effetti a catena del Long Covid
Il termine “Long COVID ” descrive la conseguenza ancora poco compresa, ma apparentemente comune, dell’infezione da COVID-19. La ricerca suggerisce che le manifestazioni comuni del Long COVID, come la dispnea e l’affaticamento, sono associati a un maggior rischio di eventi cardiovascolari, tra cui l’insufficienza cardiaca e l’infarto. Commentando il rapporto dell’Economist Impact, il dottor Amitava Banerjee, cardiologo consulente e professore di Clinical Data Science presso l’University College di Londra, ha spiegato che “Stiamo solo grattando la superficie quando si tratta dell’impatto a lungo termine di COVID-19 in ambito cardiovascolare, e probabilmente con il tempo emergerà una maggiore quantità di dati”. Il rapporto indica inoltre le sfide derivanti dal Long COVID potrebbero accrescere l’onere della gestione cardiovascolare sia a breve che a medio termine, esigendo l’implementazione di strategie preventive che si adattino ad un panorama sanitario in evoluzione. “Le persone si stanno presentando in fasi molto più avanzate di malattia cardiovascolare, il che significa che trattarli è molto più complicato e sono meno probabili esiti favorevoli. Dobbiamo porre una maggiore attenzione sull’identificazione dei fattori di rischio e rilevare precocemente i sintomi cardiovascolari. Facendo questo possiamo anche alleviare la tensione sui sistemi sanitari già gravati”, ha concluso dottor Banerjee.
La pressante urgenza di ricondurre gli sforzi alla prevenzione e alla cura cardiovascolare
L’Economist Intelligence Unit prevede che la spesa sanitaria individuale crescerà globalmente del 4,1% nel 2022 ma, successivamente, il tasso di questa crescita diminuirà. Rispetto al PIL, prevede che la spesa sanitaria rimanga la stessa, al 10,5%. Ma, mentre la crisi della fase acuta della pandemia ha richiesto attenzione e risorse immediate, il rapporto dell’Economist Impact dimostra la pressante urgenza per i sistemi sanitari di rifocalizzare gli sforzi per affrontare i bisogni insoddisfatti dei pazienti affetti da patologie cardiovascolari, principale causa di morte in Europa. “Ora più che mai dobbiamo affrontare l’enorme impatto delle CVD in Europa, per giunta esacerbato dalla pandemia di COVID-19. – Ha commentato Oliver Appelhans, Head Commercial Operations, Head Affiliate & Partner Management Specialty Medicines di Daiichi Sankyo Europa – Come industria impegnata nell’ambito della salute pubblica, abbiamo un ruolo importante nel rispondere alle esigenze della comunità medica e nell’aiutare a proteggere le persone dalle malattie cardiovascolari. Daiichi Sankyo continua il suo impegno a fianco dei sanitari e dei partner industriali, con l’obiettivo di contribuire ad una migliore assistenza – sempre ponendo la prevenzione al centro dei nostri sforzi”.