Empowerment ed engagement dei pazienti. Sono parole molto usate ma non sempre è chiaro a quali potenzialità (e responsabilità) facciano riferimento. Se il termine empowerment definisce il processo di riconquista della consapevolezza di sé e dell’avere cura della propria salute, l’engagement definisce la capacità del pazienti di diventare protagonista proattivo del sistema che eroga cura.
C’è un buon empowerment del paziente se c’è accettazione e conoscenza della propria malattia e di come gestirla. C’è engagement quando queste competenze crescono, ai ampliano e si mettono a servizio delle istituzioni, degli enti di ricerca e del mondo produttivo per indirizzare le azioni verso i bisogni insoddisfatti dei malati.
Per quanto descritto sopra, le associazioni dei pazienti, a volte definite ‘sentinelle del Servizio sanitario nazionale’, sono una preziosa, insostituibile risorsa per pazienti e caregiver in primis, ma anche per istituzioni, clinici e manager, partner fondamentali di garanzia e trasparenza, anche nei rapporti e nelle collaborazioni con aziende e industrie.
Di tutto questo si è parlato nell’ultima puntata del talk mensile di Sanitask, il progetto realizzato da Sics Editore con il supporto di Alfasigma, e dedicato, in questa occasione, all’empowerment e all’engagement dei pazienti. Ospiti della puntata, condotta da Corrado De Rossi Re, sono stati Marisa Dellai, Card Trentino Alto Adige, Angela Ianaro, deputata e membro della commissione Affari Sociali nonché presidente dell’Intergruppo parlamentare Scienza e Salute; Francesco Saverio Mennini, direttore EEHTA-CEIS Università di Roma “Tor Vergata” e presidente SIHTA (Società Italiana di Health Technology Assessment); Arturo Cavaliere Presidente SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici); Ivan Gardini, presidente EPAC Onlus (assiciazione dei pazienti con epatite e malattie del fegato); Salvo Leone, direttore generale AMICI Onlus (Associazione nazionale per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino) e Giuseppe Napoli, vicepresidente vicario di Federsanità e Presidente di Federsanità Anci FVG..
Ad aprire il dibattito sono stati proprio i rappresentanti delle associazioni, che hanno descritto i punti di forza delle associazioni di pazienti ma anche le debolezze da superare.
“Attraverso la loro esperienza – ha esordito Salvo Leone – le associazioni possono offrire un contributo importante al processo di cura, così come nell’ambito della valutazione delle nuove tecnologie e dei farmaci. Il coinvolgimento del paziente può supportare le decisioni, tenendo conto dei bisogni dei pazienti e dei benefici di una innovazione. Può migliorare l’accesso dei pazienti alle opportunità diagnostiche, terapeutiche e assistenziali. Può garantire un uso migliore delle soluzioni offerte dal sistema attraverso una corretta informazione che si traduce anche in consapevolezza ma anche in riduzione degli sprechi”.
Per il direttore generale AMICI Onlus allo stato attuale, tuttavia, le associazioni operano in un contesto poco definito, che in qualche modo disperde le loro potenzialità. In alcuni casi manca anche quel bagaglio di competenze, non solo inerenti la propria malattia, in grado di rendere il paziente un interlocutore capace davvero di contribuire allo sviluppo di modelli efficienti di presa in carico. “Far parte di questo dialogo significa non sono conoscere la propria malattia, ma sapere come funzionano le aziende sanitarie e conoscere le problematiche di gestione delle risorse”, ha detto. Eppure questo coinvolgimento è essenziale, perché “una indagine che abbiamo condotto ha evidenziato come le priorità dei pazienti e quelle dei clinici non coincidano”. L’opinione dei pazienti, ha quindi evidenziato Leoni, “non può essere sostituita dai medici e dalle società scientifiche, che per quanto al nostro fianco, hanno un punto di vista della malattia diverso da quello dei malati e dunque una dedizione diversa degli ambiti in cui è essenziale intervenire”.
Parole, quelle di Leoni , condivise da Ivan Gardini. “La pluralità – ha chiarito – è sempre una ricchezza, ma solo se c’è anche qualità. Per questo occorre definire standard e criteri che deve avere un’associazione di pazienti che voglia essere partner del sistema”. Per il presidente EPAC è necessario anche “definire criteri di rappresentanza, perché oggi possono esserci anche 8-10 associazioni in un’area terapeutica ed è evidente che per le istituzioni diventa difficile confrontarsi con un tale numero di interlocutori”.
Per Gardini un buon engagement ed empowerment consentirebbe anche di contrastare lo spreco di risorse all’interno del Ssn, ad esempio “evitando buona parte delle second opinion”. “Un paziente educato e formato – ha spiegato – quando ha di fronte un clinico è in grado di capire se gli sta proponendo percorsi di cura in linea con le sue condizioni. La mancanza di conoscenza crea incertezza e l’incertezza causa un cattivo uso delle risorse”.
Per il presidente di Epac Onlus, tuttavia, le associazioni, per crescere, hanno bisogno del sostegno delle istituzioni. “Sono ben quattro anni che aspettiamo una legge di riforma del terzo settore. Servono anche risorse. L’empowerment e l’engagement si realizzano se ci sono persone formate, con alte competenze, che non possono essere volontari ma che vanno retribuite affinché siano aggiornate e a disposizione. Se la politica si aspetta che facciamo determinate cose, allora ci metta nelle condizioni di realizzarle. Non possono bastare le risorse del 5×1000, perché il lavoro da fare è molto ampio e articolato”.
I rappresentanti delle associazioni hanno inoltre contestato un mancato coinvolgimento dei rappresentati dei pazienti nel nuovo modello di sanità di prossimità disegnato con il Pnrr e il DM 71.
Chiamata in ballo, in veste di rappresentante della politica, Angela Ianaro ha espresso proprio impegno per il coinvolgimento delle associazioni all’interno del Ssn. “Uno degli obiettivi principali del’Intergruppo – ha spiegato – è far comprendere come la scienza sia uno strumento indispensabile per poter prendere decisioni politiche o indirizzarle. Si tratta di un approccio che non deve essere emergenziale, come è stato con il Covid, ma che va consolidato. Penso che il dialogo con i pazienti sia altrettanto importante perché le associazioni rappresentano le ‘antenne’ delle esigenze che ogni cittadino e ogni malato ha sul territorio. Un confronto chiave per i politici, ma credo un momento di crescita anche per le associazioni”.
Ianaro si è detta convinta che questa relazione può essere rafforzata perché “già oggi, rispetto al passato, c’è una sensibilità diversa, una maggiore comprensione del ruolo fondamentale delle associazioni di pazienti, sia per l’empowerment ma anche per l’individuazione dei punti delle soluzioni o delle criticità nel corso della stesura di un provvedimento”.
Alla disponibilità della presidente dell’Intergruppo parlamentare Scienza e Salute si è aggiunta quella di Federsanità, espressa da Giuseppe Napoli. “La visione di Federsanità – ha detto – è quella di sviluppare reti e servizi sui territori, in collegamento con le autonomie locali e con un dialogo fermo e continuo con le associazioni dei pazienti, a cui dobbiamo riconoscere di avere già portato in tante occasioni un contributo determinante”.
Per il vicepresidente vicario di Federsanità Anci “temi come quelli dell’infermiere di comunità o di famiglia sono fondamentali per il futuro delle reti territoriali, se vogliamo che funzionino davvero. Ma occorre avere ben chiaro che il terzo settore non può sostituirsi al pubblico, come invece è spesso accaduto in questi anni, in cui il terzo settore ha dimostrato di essere un pilastro strutturato, organizzato e capace di farlo. Il suo ruolo va senz’altro riconosciuto, ma accanto e non in sostituzione del servizi pubblico. Serve il Ssn, serve il terzo settore, e servono le associazioni dei pazienti per dare una risposta qualitativa ai bisogni assistenziali dei cittadini”.
Anche Francesco Saverio Mennini ha voluto rivendicare l’impegno di SIHTA nel lavorare insieme alle associati dei pazienti, perché “quando trovi una associazione che è realmente formata e competente, il suo supporto si rivela è imprescindibile”. Del resto, “su alcuni aspetti specifici, relativi ad esempio anche all’aderenza alla terapia, soltanto il paziente è in grado di fornire un certo tipo di informazione chiave per superare le criticità”.
Il presidente della SIHTA ha poi voluto sottolineare la grande opportunità che le associazioni rappresentano per raccogliere quei dati che non sono importanti solo per descrivere un quadro epidemiologico, ma anche per indirizzare le scelte. “Le associazioni- ha detto Mennini – possono fornirci informazioni fondamentali anche su come strutturare un modello organizzativo e gestionale di presa in carico. Penso che in questa direzione tanti passi in avanti siano stati fatti e che abbiano portato, ad esempio, a comprendere l’importanza di passare da un’assistenza ospedalocentrica a una sul territorio. La collaborazione resta però fondamentale anche per portare a compimento i processi, oltre che per fare emergere l’esigenza di un cambiamento”.
Per Arturo Cavaliere società scientifiche, associazioni e stakeholder sono d’altra parte gli anelli di una stessa catena. “Tutti noi ‘lavoriamo’ sul campo e raccogliamo quel ‘sentire comune’ che poi portiamo all’attenzione ai livelli istituzionali”. Il presidente della Sifo ha evidenziato come questa sinergia si sia già realizzata con il fondo per i farmaci innovativi nella Finanziaria del 2017, “nato anche grazie alla spinta propulsiva di alcune società scientifiche che, a loro volta, avevano fatto proprie le istanze dei cittadini e i bisogni emersi sul campo. Molto è stato fatto anche per la rapidità di accesso alle cure, basti pensare che fino a pochi anni fa dall’autorizzazione EMA per un nuovo farmaco all’accesso reale dei pazienti passavano circa 36-37 mesi e oggi questo periodo si è ridotto a un anno e mezzo”.
Se tanto è stato fatto, molto però resta ancora da fare. Per il presidente della Sifo, ad esempio, deve trovare spazio all’interno del processo di potenziamento delle reti di prossimità anche un modello di “Home delivery” e “Home therapy” che, “coniugato con il consulto con la telemedicina, consenta al farmacista di erogare i farmaci che attualmente vengono dispensati solo in distribuzione diretta”. “La politica – è stato il richiamo di Cavaliere – non si deve far influenzare da lobby di protezionismo di alcune categorie professionali, deve avere il coraggio di osare”.
Anche Marisa Dellai ha esaltato il ruolo delle associazioni di pazienti. Per il sistema, ha detto, “è importante riuscire a sviluppare un approccio centrato sul paziente e sulla famiglia e il primo modo per farlo è informare il paziente sulla patologia, sul suo decorso, sui diversi approcci terapeutici ma anche su tutti quegli aspetti, come gli stili di vita, che possono avere un ruolo nell’insorgenza di complicanze nel caso di patologie croniche o consentirne comunque una migliore gestione, con benefici sulla salute e sulla qualità di vita”.
Fornire informazioni, ha però sottolineato la rappresentante della Card Trentino Alto Adige, “è un processo che richiede tempo. Abbiamo bisogno di formare personale da dedicare a questa attività, che può essere rivolta al singolo malato o anche a gruppi di pazienti”. Dellai ha portato a SaniTask l’esperienza di alcuni progetti realizzati in Alto Adige ma evidenziato anche come la carenza di personale sanitario rappresenti un ostacolo a queste attività. “Eppure conosciamo i benefici che può avere sul paziente, così come siamo consapevoli di come avere pazienti esperti riduca anche il rischio di insorgenza di complicanze, quindi i ricoveri in ospedale e gli accessi in pronto soccorso”. Per questo Dellai ha lanciato un appello a “investire sulle politiche che consentano di aumentare gli organici e il livello di attrattività delle nuove generazioni nei confronti delle professioni sanitarie”.
Lucia Conti