Costruire reti, armonizzare e omogenizzare i percorsi di cura, garantire ai pazienti da ogni parte del Paese l’accesso alle strutture che offrono trattamenti avanzati e cure al domicilio. E ancora, formare i medici così che possano indirizzare i pazienti verso i percorsi più adatti e soprattutto informare e far conoscere il Parkinson, malattia con un forte impatto sulla vita dei pazienti, ma anche sulle persone a loro vicine. Per questo la sfida oggi non è solo trovare nuove terapie per curare le malattie o cambiarne il decorso. La sfida è anche realizzare una presa in carico in grado di garantire da una parte la più alta qualità possibile di vita ai pazienti, dall’altra il migliore aiuto ai famigliari-caregiver.
Di questo si è parlato nel corso dell’ultima puntata di Camerae Sanitatis, il format editoriale multimediale nato dalla collaborazione tra l’Intergruppo parlamentare Scienza & Salute e SICS editore. Ospiti dell’ultima puntata, condotta da Ester Maragò, promossa con il contributo incondizionato di Abbvie e dedicata in particolare al Parkinson, sono stati Angela Ianaro, presidente dell’Intergruppo parlamentare Scienza & Salute; Giangi Milesi, presidente della Confederazione Parkinson Italia; Angelo Antonini, professore responsabile dell’Unità Parkinson e disturbi del movimento presso la Clinica di neuroscienze dell’Università degli Studi di Padova; Giusy Pipitone, presidente Anin (Associazione nazionale infermieri in neuroscienze); e la senatrice Paola Binetti, componente della XII commissione Igiene e Sanità del Senato.
Il confronto è stato introdotto da uno spezzone di “Non Chiamatemi Morbo”, la mostra parlante ideata dalla Confederazione Parkinson Italia, che attraverso le voci di Lella Costa e Claudio Bisio raccoglie e diffonde le testimonianze di chi il Parkinson lo vive sulla propria pelle.
“Ascoltare la voce dei pazienti e dei caregiver è importante”, ha commentato Angela Ianaro. “La scienza, da sola, non può dare tutte le risposte. Occorre informare, far conoscere e condividere i percorsi di vita, che a volte sono così complessi ma comunque ricchi di speranza”.
Ianaro ha quindi sostenuto la necessità di andare oltre “gli interventi spot o proposte di legge che non vedranno probabilmente mai la luce”. Per la presidente dell’Intergruppo Parlamentare Scienza&Salute “c’è bisogno di continuità, di strutturazione”. Nel caso del Parkinson anche di “un Osservatorio nazionale in grado di monitorare e avere una visione di insieme e a lungo termine”.
A fare comprendere meglio cosa sia il Parkinson è stato Angelo Antonini, che ha evidenziato anzitutto come per persone spesso ignorino molti aspetti del Parkinson che invece sono molto diffusi. “Nella mente delle persone – ha spiegato – il Parkinson è spesso associato a Papa Giovanni Paolo II e al tremore” ma, ha evidenziato, “circa un terzo dei pazienti non ha tremori e in molti casi la malattia non esordisce con segni motori”. Inoltre “va sfatato il mito che il Parkinson sia una malattia degli anziani. Ci sono persone in cui esordisce anche prima dei 30 anni e che quindi convivono con la malattia quasi tutta la vita; questo ha ovviamente un impatto importante. Sono più di 20mila pazienti hanno meno di 40 anni”, ha spiegato.
Per Antonini è quindi essenziale conoscere quali possono essere i sintomi che precedono quelli motori. Sintomi che possono insorgere “anche 10-15 anni prima” e che quindi “possono aiutare ad effettuare una diagnosi tempestiva della malattia”. Tra questi, “l’alterazione dell’olfatto, simile al sintomo che abbiamo imparato a conoscere con il Covid, i disturbi del sonno e dell’umore”. Senza dimenticare che “il Parkinson è la malattia neurologica più frequente con causa genetica: un paziente su 10, che nelle aree mediterranee diventa anche 1 su 3″.
Scoprire che il Parkinson ha cause genetiche ha comportato importanti cambiamenti, ha spiegato l’esperto. “Se da una parte lo screening delle persone a rischio ha rappresentato un vantaggio a livello diagnostico, dall’altro ha avuto un impatto enorme sulla vita di queste persone, ad esempio sulla decisione di avere figli o di programmare altri aspetti del proprio futuro”. Antonini ha però voluto evidenziare i passi avanti compiuti dalla scienza: “Le terapie biologiche avanzate ci fa ben sperare che nei prossimi 5 anni saremo in grado di modificare in maniera sostanziale il decorso della malattia”.
Essenziale, per il responsabile dell’Unità Parkinson e disturbi del movimento presso la Clinica di neuroscienze dell’Università degli Studi di Padova, è che di pari passo con la scienza si muova il sistema assistenziale. “Dobbiamo costruire delle reti, armonizzare e omogenizzare i percorsi, garantire ai pazienti da ogni parte del Paese l’accesso alle strutture che offrono trattamenti avanzati. Ed occorre formare i medici così che possano indirizzare i pazienti nei percorsi di cura più adatti”.
Osservazioni condivise da Giangi Milesi, che ha evidenziato come questo rafforzamento della presa in carico debba avere come obiettivo anche quello di alleggerire il peso sui famigliari, “che oggi subiscono la malattia tanto quanto il malato stesso”. Il caregiver, per il presidente della Confederazione Parkinson Italia, “oggi rischia di essere un secondo malato”. Il Parkison, ha peraltro sottolineato Milesi, “è una malattia difficile da gestire perché si manifesta in mille modi, tanto che sembra di avere a che fare con tanti Parkinson”.
Una parte consistente dell’impegno della Confederazione va dunque nell’informazione, comunicazione e formazione alla popolazione, “anzitutto perché riconosca i campanelli di allarme della malattia, perché coglierli significa avviare al più presto la terapia e avere un’aspettativa di vita prolungata e di qualità”. Quest’opera di informazione va rivolta alla popolazione generale ma, per Milesi, anche alle persone con Parkinson, “perché la malattia a volte spinge le persone a chiudersi, ma in questo modo si perdono preziose opportunità di migliorare il decorso della malattia stessa”.
Per Milesi, al sistema serve invece, tra le altre cose, “coordinamento e flessibilità”, nonché la capacità di “evitare visite inutili o di organizzarne più di quelle programmate se qualcosa cambia e lo richiede”.
Dagli ospiti di Camerae Sanitatis c’è dunque una grande attenzione rivolta ai caregiver. Tuttavia dalla senatrice Paola Binetti non sono arrivare buone notizie in merito al Disegno di legge in materia, arenato ormai in Senato. “Il Ddl – ha spiegato la senatrice – è finito in commissione Lavoro, probabilmente perché la maggioranza delle richieste andavano a coinvolgere l’ambito previdenziale. La commissione Lavoro, tuttavia, ha un’infinità di temi da trattare. In considerazione dei tempi tecnici, ho forte dubbi che il Ddl sui caregiver riuscirà a passare”.
Binetti ha però assicurato l’attenzione della commissione Salute su questo tema: “Cederemo alla tentazione di trasformarne una parte in emendamenti da inserire in altri disegni di legge dall’iter più sicuro, immediato e diretto”, ha detto.
La senatrice è poi intervenuta su un altro importante progetto a cui sta lavorando la politica, cioè il Pnrr. “Una delle esigenze che ha posto il Pnrr – ha osservato – è stata spostare l’asse dell’assistenza dall’ospedale al territorio, realizzando due realtà finora conosciute solo in qualche regione e a livello principalmente sperimentale: le case di comunità e gli ospedali di comunità, che saranno preferenzialmente dedicate alla cronicità e alla disabilità”.
Per Binetti, se vogliamo garantire un’assistenza sul territorio e al domicilio del paziente, è necessario tuttavia dotare il territorio di personale, infermieri ma non solo. “La presa in carico deve essere multidisciplinare, servono neurofisioterapisti e terapisti occupazionali, per esempio”. Professionisti che, nel caso del Parkinson, “insegnino al paziente a gestire i movimenti, a orientarli in modo da mitigarne l’impatto sull’immagine che il paziente ha di sé e in modo da tirare fuori le potenzialità. Alcuni pazienti possono imparare a mangiare o a farsi la barba da soli”. Traguardi che sarebbero importanti per i pazienti ma anche per i caregiver.
Sulla necessità di professionisti sempre più specializzati è intervenuta Giusy Pipitone, evidenziando l’impegno di Anin sul fronte degli infermieri e la necessità di “prendersi cura non solo del paziente ma della famiglia”. Il caregiver, per Pipitone, “è una risorsa centrale e importante del Ssn. È risorsa strategica del percorso assistenziale. Prendersi cura del caregiver significa rispondere non solo a un’istanza etica, ma anche un’istanza di tipo civile e sociale”. Questo percorso, per la presidente di Anin, deve passare attraverso “conoscenze mirate, empowerment e addestramento”. Da qui l’impegno di Anin che, nel 2019, ha avviato un lavoro per offrire “maggiore conoscenza e consapevolezza a chi si occupa della gestione quotidiana della persona a domicilio”.
L’obiettivo, anche per Pipitone, è “avere sempre di più infermieri formati nel prendersi cura dei problemi specifici dei pazienti in neuroscienze, affinché un paziente sia il più possibile proattivo nel proprio percorso di cura e il caregiver sempre più supportato”.
Lucia Conti