Mariapia Garavaglia (Fondazione Roche): le Persone al centro

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Da oltre tre anni il Gruppo “Persone non solo Pazienti”, di cui fanno parte 16 Associazioni, con il sostegno di Fondazione Roche, promuove il dibattito sul ruolo che le Associazioni possono svolgere nel Sistema Salute. Quest’anno viene approfondita la tematica della ricerca clinica e della partecipazione dei pazienti alle scelte in tema di sperimentazioni. Qual è il percorso che ha determinato questa scelta?
La questione delle sperimentazioni cliniche e del coinvolgimento dei pazienti è di grande rilievo e attualità. Le Associazioni di pazienti da qualche anno hanno cominciato a riunirsi e a confrontarsi su obiettivi comuni a tutela dei malati. Il percorso evolutivo che rende sempre più consapevoli e forti i rappresentanti dei pazienti è un esempio del valore della partecipazione che, da semplice slogan, è diventata strumento per ‘contare’ e farsi valere. Chi non partecipa è fuori dai progetti e, oso aggiungere, diventa quasi immorale usufruire senza impegnarsi direttamente dei risultati raggiunti da chi con enormi sacrifici, tempo e dedizione, ha partecipato in modo attivo alle scelte in tema di salute. Il “bene” ricerca è il servizio più alto per la dignità del malato e dei cittadini e gli studi clinici ne sono la concreta espressione. Chi, come nel caso di Fondazione Roche, ha come propria mission quella di stare dalla parte dei pazienti, deve essere al fianco di chi porta avanti la ricerca e partecipa in modo diretto. La presenza dei pazienti accanto ai ricercatori significa che i bisogni dei malati sono la priorità della ricerca e delle sperimentazioni cliniche e questo ne migliora i risultati. Fondazione Roche lavora attivamente per moltiplicare la consapevolezza e la forza espresse dai pazienti.

Perché in generale il tema della partecipazione dei pazienti alle scelte di salute è sempre più importante? Quali sono i vantaggi per il Servizio Sanitario?
I pazienti sono i più autentici garanti di un sistema che risponde ai bisogni piuttosto che ai consumi. E di tale paradigma si avvantaggia il Servizio Sanitario Nazionale. Il paziente può dare un contributo fondamentale per comprendere quali sono le reali priorità legate a una malattia e aiutare il sistema ad assicurare equità nell’accesso, qualità delle prestazioni ed eguaglianza in solidarietà. Le Associazioni qualificano, selezionano, razionalizzano, controllano e difendono l’intero sistema salute, contribuendo a migliorare l’allocazione delle risorse. I pazienti che partecipano agli studi clinici indicano le priorità e indirizzano la sperimentazione verso i bisogni emergenti e più acuti.

Cosa vuol dire concretamente per un paziente poter partecipare a uno studio clinico? Quali benefici e impegni comporta?
La società laica percepisce ciò che è sperimentabile e ancora in fase di ricerca, come qualcosa di semplice, come una conquista già acquisita, un bene facilmente ottenibile dal Sistema; invece, il paziente che partecipa ai trial clinici entra in possesso di una serie di conoscenze come la tempistica, le lungaggini burocratiche dello studio e del suo arruolamento, le procedure e le diverse modalità di partecipazione alla sperimentazione. Il paziente che accetta di far parte di uno studio clinico, decide in ‘corpore vivo’, ossia prende la decisione da sé. In tal senso, il paziente diventa un giudice rigoroso e consapevole rispetto alle priorità della sua salute e della salute degli altri pazienti. Nell’epoca della medicina di precisione, è evidente come la partecipazione dei pazienti ai trial clinici si traduca in un aiuto concreto e fattivo alla ricerca per la realizzazione di trattamenti sempre più personalizzati. La partecipazione come un’onda fa ricadere i benefici sull’intero Sistema, grazie alla generosità del paziente che decide di entrare nello studio, con un impegno totalizzante e responsabile. In questo modo il paziente assume un ruolo attivo nella cura e nel preservare la propria salute e quella degli altri.

Perché è importante che i pazienti siano coinvolti, attraverso le loro Associazioni, nel disegno degli studi clinici? Quanto è importante l’elemento “esperienziale” nella progettazione di uno studio?
Riferendoci all’elemento “esperienziale”, è fondamentale capirne il senso. Ricercatori e clinici conoscono tutto di una certa malattia, come si manifesta, quali possono essere le reazioni indotte dai farmaci, quali le conseguenze di un post-operatorio. Eppure, il dolore, non solo quello fisico ma inteso come sofferenza interiore, il modo di estrinsecare il proprio stato d’animo e le condizioni di salute, possono essere manifestati e compresi appieno solo da chi li vive o li ha vissuti in prima persona. Il paziente rende la sperimentazione un evento vivo, concreto. La malattia assume forma tramite la persona/paziente, che offre generosamente la sua partecipazione per utilità propria e per utilità di tutti gli altri pazienti e della comunità scientifica.

Lo scorso 8 maggio è stato approvato il Decreto legislativo che dà attuazione alla legge Lorenzin sulle sperimentazioni cliniche: che importanza ha questo passaggio ai fini della partecipazione dei pazienti?
Considero questo traguardo come una conquista delle Associazioni di pazienti ed uno dei risultati più importanti della partecipazione. Adesso è necessario un grande lavoro di promozione, di spiegazione, di divulgazione per appassionare le persone a queste conquiste. Il nostro Sistema Sanitario in questo momento fatica a raggiungere i livelli di efficienza che sarebbero necessari. I pazienti che partecipano ai trial clinici sanno bene qual è la posta in gioco: per poter offrire le prestazioni più sofisticate, efficaci ed efficienti, ma anche più costose, occorre consapevolezza e capacità di comunicare questo nostro Sistema, di promuovere le scelte idonee, di valorizzare le leggi che oggi abbiamo. La partecipazione ai trial clinici dei pazienti è una vera conquista, giova ai malati e giova alla reputazione del Sistema Sanitario Nazionale. Prima di vederla condivisa e attuata, occorre spiegarla e questo richiederà tempo.

Oggi un paziente che partecipa a uno studio clinico riceve informazioni adeguate e comprensibili? Come si può eventualmente migliorare la comunicazione tra medici, ricercatori e pazienti?
Intanto precisiamo che è obbligatorio dare al paziente tutte le informazioni: per questo esiste la legge sul consenso informato che riguarda non solo il rapporto medico-paziente e il percorso clinico-terapeutico, ma anche la ricerca clinica, per la quale ‘raccogliere’ un consenso è ancora più importante, impegnativo e cogente. Naturalmente sappiamo bene che il problema della comunicazione in sanità è uno dei più gravi perché spesso chi è deputato a divulgare tematiche sanitarie non ha sviluppato una adeguata capacità di comunicare. Riteniamo che gli Ordini professionali abbiano il dovere di promuovere una formazione adeguata per aiutare i medici a migliorare le loro competenze in comunicazione.

Quale contributo possono portare le Associazioni di pazienti, e in particolare quelle coinvolte nel progetto Persone non solo Pazienti, affinché la voce dei pazienti sia effettivamente ascoltata nei trial clinici?
Di solito i rappresentanti dei pazienti e dei famigliari hanno un legame molto forte basato sulla fiducia reciproca con i medici che si occupano di quella particolare malattia. Il rapporto fiduciario fa sì che i medici diventino interpreti preziosi dei bisogni dei malati e facciano da ponte con i ricercatori. Un esempio di ciò è la raccolta del consenso informato, che diventa veramente ‘informato’ grazie al dialogo tra il paziente e il suo curante, che è in grado di spiegare in modo chiaro e completo tutti gli aspetti dello studio clinico e rispondere ai dubbi del paziente.

Come si articolerà il lavoro del Gruppo nei prossimi mesi?
Fondazione Roche si è messa a disposizione del Gruppo di Persone non solo Pazienti. Per quanto riguarda il tema delle sperimentazioni cliniche, il nostro obiettivo è adesso quello di costruire un percorso partecipato, per approfondire la formazione delle Associazioni su questo tema e arrivare alla messa a punto di un documento di indirizzo espresso dalle stesse associazioni e presentato in un evento istituzionale. Altro obiettivo a breve termine è quello di ampliare il numero delle Associazioni all’interno del Gruppo Persone non solo Pazienti. Inoltre vorremmo raccogliere il maggior numero possibile di dati sui risultati che le Associazioni hanno raggiunto negli anni, sulla loro organizzazione interna, sui progetti che portano avanti. Insomma, ci piacerebbe portare a compimento una sorta di Report sullo stato dell’arte delle nostre Associazioni, documento che per ora manca. Riusciremo in questa attività solo con il consenso delle Associazioni e se avremo la capacità di offrire loro un servizio veramente utile. Più sapremo aiutare le Associazioni di pazienti a diventare protagoniste, più le stesse saranno in grado di aiutare i malati, i medici e il Sistema salute.

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