Negli ultimi anni sono state sviluppate delle molecole, chiamate degradatori, che inducono la distruzione mirata di proteine bersaglio all’interno della cellula. Sono dei farmaci promettenti, ma si sa poco sulla risposta cellulare a queste molecole. I ricercatori del Research Center for Molecular Medicine (CeMM), in Australia, hanno analizzato alcuni meccanismi genetici che regolano la risposta cellulare ai degradatori in uno studio pubblicato su Molecular Cell. Daily Health Industry ha intervistato Cristina Mayor-Ruiz, esperta in biologia molecolare presso il CeMM e prima autrice dello studio insieme a Martin G. Jaeger.
In cosa consiste il degrado proteico mirato?
Il degrado proteico mirato (TPD, dall’inglese Targeted protein degradation), è una tecnica che consiste nell’uso di piccole molecole per riprogrammare le “macchine” che nelle nostre cellule distruggono le proteine inutili o dannose. Queste molecole vengono chiamate degradatori e, a seconda del design, sono classificate come PROTACs o “colle molecolari”.
Perché questo approccio terapeutico è innovativo rispetto a quelli esistenti?
Le medicine tradizionali funzionano principalmente come inibitori che si legano alla proteina e ne bloccano determinate attività. Con questa strategia però si può intervenire soltanto sul 20% circa di tutte le proteine. Usando la TPD, invece, potenzialmente si potrebbe prendere di mira qualunque proteina implicata nell’insorgenza di una malattia ed eliminarla completamente. Il legame tra i degradatori e la proteina può essere anche minimo, serve solo come ancoraggio per avvicinare la molecola da distruggere agli enzimi di degradazione proteica. Questo tipo di intervento, la distruzione completa di una proteina, è molto più simile a una delezione a livello genetico che all’inibizione di una sola funzione proteica. Interrompere tutte le attività associate a una proteina può rappresentare un grande vantaggio nel caso di molte patologie. Siamo di fronte ad un nuovo paradigma nello sviluppo di farmaci che rende le proteine precedentemente indistruttibili accessibili all’intervento farmacologico.
Per quali patologie in particolare il TPD potrebbe essere efficace?
In teoria la TPD potrebbe essere usata per trattare molte malattie. Attualmente la maggior parte delle ricerche si concentra sullo sviluppo di degradanti contro il cancro. Un esempio interessante di questo tipo di farmaci sono gli immunomodulanti (IMiDs) contro il mieloma. Il loro meccanismo d’azione, e quindi la loro attività di degradanti, è stata scoperta dopo anni di uso clinico di queste molecole. Sono attualmente in corso degli studi che testano sui pazienti i primi PROTAC volti a degradare il recettore degli androgeni nel carcinoma prostatico. Alcuni PROTAC potrebbero essere usati per trattare l’Alzheimer, altri invece per distruggere le proteine dei virus.
Cosa avete messo in luce con le vostre ricerche?
Abbiamo usato cinque degradatori diversi, in grado di agire su un’ampia gamma di proteine bersaglio ed enzimi di degradazione cellulare. Le molecole che abbiamo scelto erano PROTAC e colle molecolari, rappresentativi delle strategie disponibili attualmente usate. Grazie a questo approccio globale è stato possibile individuare i fattori genetici o farmacologici coinvolti nella sensibilità in generale ai degradatori o specifica per delle proteine bersaglio.
Che impatto potrebbero avere i vostri risultati sulla pratica clinica?
I geni coinvolti nella risposta ai degradatori che abbiamo identificato possono fungere da biomarker utili per prevedere la risposta dei pazienti al farmaco. È importante capire quali potrebbero essere le resistenze ai farmaci degradatori nel momento in cui essi iniziano a far parte della pratica clinica.
Inoltre, il nostro studio ha analizzato in modo completo degli aspetti fondamentali della regolazione e della dinamica dei meccanismi di degradazione delle proteine. Questi risultati potranno essere presi in considerazione per la progettazione razionale di nuovi degradatori.