Sconfiggere il dolore e avere la malattia sotto controllo dopo tre anni di cura, per un paziente con spondilite anchilosante e spondiloartrite assiale non radiografica è una conquista rilevante. Su questi pazienti, 200 mila in Italia, ixekizumab di Lilly, un antagonista della IL-17, si è dimostrato in grado di fermare la progressione della malattia (che vede lo sviluppo di sindesmofiti, cioè ponti ossei tra due vertebre, con fusione della colonna vertebrale), oltre che di mantenere l’efficacia nel lungo termine, anche dopo 3 anni di follow-up, di togliere il dolore e di consentire un continuo miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
Secondo i nuovi dati del poster presentato al Congresso EULAR 2022 di Copenaghen, il 60% dei 932 pazienti che avevano ricevuto almeno una dose di ixekizumab ha completato i 3 anni di follow up della terapia, con un controllo di malattia mantenuto nel tempo su varie scale di efficacia: il 75% dei pazienti trattati con il dosaggio approvato dall’inizio al termine dell’osservazione dello studio ha riportato una bassa attività di malattia (ASDAS, la scala che valuta l’attività della malattia, inferiore a 2.1, n=81). Anche nella scala di misurazione dei sintomi (ASAS), tra cui il dolore, si sono osservati sensibili miglioramenti: il 68% dei pazienti ha avuto una riduzione di almeno il 40% dei sintomi di malattia per tutti i tre anni di durata dell’osservazione (n=81). Tutto questo con il buon profilo di sicurezza, in linea con i periodi di osservazione precedenti.
“La lombalgia infiammatoria è il primo sintomo delle spondiloartriti assiali, ma purtroppo spesso viene scambiata per un classico mal di schiena meccanico e pertanto la diagnosi arriva tardi, a volte quando già c’è una compromissione consistente della funzionalità della colonna che diventa rigida e quando le terapie sono molto poco efficaci”, spiega Carlo Selmi, Responsabile dell’Unità Operativa Reumatologia e Immunologia clinica all’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e docente di Humanitas University.
“I nuovi dati del poster presentati all’EULAR sui pazienti dello studio COAST con follow-up a tre anni, condotto su 932 pazienti, di cui il 60% è giunto al termine dell’osservazione, confermano l’efficacia di questa cura, peraltro già ampiamente utilizzata per il trattamento di altre patologie infiammatorie croniche quali la psoriasi e l’artrite psoriasica e conosciuta per il buon profilo di sicurezza. Un’ottima notizia per questi pazienti”, ha concluso.