Janssen ha presentato al congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) nuovi dati dello studio di fase 1 CHRYSALIS.
Questi dati mostrano come il trattamento con amivantamab in combinazione con lazertinib induca una durata mediana della risposta (DOR) di 9,6 mesi in pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) EGFR-mutato con delezione dell’esone 19 o mutazione L858R, naïve alla chemioterapia la cui malattia sia progredita dopo il trattamento con osimertinib.
Quarantacinque pazienti sono stati trattati con 1050 mg di amivantamab (se di peso inferiore a 80 kg) o 1400 mg (se di peso uguale o superiore a 80 kg) in combinazione con 240 mg di lazertinib. Il 36 per cento (intervallo di confidenza al 95 per cento [CI], 22-51) ha mostrato una risposta confermata (CR), di cui 1 risposta completa e 15 risposte parziali (PR); la DOR mediana è stata di 9,6 mesi (95 per cento CI: 5,3-non raggiunto), la sopravvivenza mediana libera da progressione (mPFS) di 4,9 mesi (95 per cento CI, 3,7-9,5) e il tasso di beneficio clinico (CBR) del 64 per cento (95 per cento CI, 49-78).
“In genere, i pazienti la cui malattia non risponde più alla terapia con osimertinib non hanno altri trattamenti a disposizione, salvo la chemioterapia. Tuttavia, grazie alle risposte durevoli mostrate dalla combinazione di amivantamab con lazertinib, potrebbe essere disponibile una nuova opzione”, osserva Byoung Chul Cho, Yonsei Cancer Center, Yonsei University College of Medicine di Seul, ricercatore principale dello studio CHRYSALIS. “Inoltre, i risultati nella coorte trattata con la terapia in combinazione suggeriscono l’interessante possibilità di identificare proprio quei pazienti che con maggiori probabilità possono rispondere positivamente a questa terapia”.
Grazie, infatti, alla caratterizzazione tramite test genetico del DNA tumorale circolante e biopsia del tessuto tumorale, nel corso dello studio si è identificato il meccanismo o i meccanismi di resistenza a osimertinib per ciascuno dei 45 casi. Diciassette, che mostravano resistenza EGFR e/o MET mediata, sottoposti a terapia di combinazione amivantamab più lazertinib, hanno evidenziato tasso di risposta globale (ORR) del 47 per cento, DOR mediana di 10,4 mesi, CBR dell’82 per cento e sopravvivenza mediana libera da progressione di 6,7 mesi. Dei rimanenti 28 pazienti che non mostravano resistenza EGFR e/o MET mediata, il 29 per cento ha ottenuto una risposta tumorale confermata. Tra questi, 18 mostravano meccanismi di resistenza sconosciuti e 10 meccanismi di resistenza non-EGFR/MET.
Lo studio ha anche esaminato 20 pazienti che avevano tessuto tumorale sufficiente per una colorazione immunoistochimica (IHC) al fine dell’analisi dell’espressione di EGFR e MET. Di dieci pazienti che presentavano una elevata espressione di EGFR e MET all’immunoistochimica, il 90 per cento ha risposto alla terapia. Janssen convaliderà prossimamente sia il Next Generation Sequencing (NGS) sia i biomarcatori basati su IHC per identificare i pazienti che abbiano maggiori probabilità di risposta alla combinazione di amivantamab con lazertinib. Questi pazienti andranno a costituire una coorte dello studio di fase 1/1b CHRYSALIS-2, disegnato per indagare ulteriormente il potenziale di questa terapia di combinazione.
Un altro studio, MARIPOSA di Fase 3, valuterà, invece, la combinazione di amivantamab e lazertinib vs osimertinib in pazienti con NSCLC avanzato EGFR-mutato non trattato.
Gli eventi avversi più comuni rilevati nello studio CHRYSALIS sono stati prevalentemente di grado 1-2 e hanno compreso reazioni infusionali (78 per cento), rash (dermatite acneiforme, 51 per cento + rash, 27 per cento) e paronichia (49 per cento). Il 16 per cento dei pazienti ha sviluppato AE di grado ≥3 legati al trattamento. È stato necessario interrompere il trattamento nel 4 per cento e ridurre la dose nel 18 per cento dei pazienti.
Ad ASCO 2021, inoltre, sono stati presentati anche i risultati di un’analisi, condotta su pazienti con NSCLC EGFR-mutato con inserzione dell’esone 20 con recidiva dopo chemioterapia a base di platino, in cui si è effettuato un confronto indiretto, sulla base di database statunitensi, tra diversi trattamenti correnti. Ne è emerso che i pazienti trattati con amivantamab in monoterapia avevano una sopravvivenza complessiva (OS) superiore di 10 mesi rispetto ai pazienti trattati con terapie già in uso, come gli inibitori del checkpoint immunitario, gli inibitori della tirosin-chinasi (TKI) e le mono-chemioterapie.
Infine, uno studio indipendente su dati francesi del database Epidemiological Strategy and Medical Economics (ESME), mostra come la prognosi per questi pazienti sembra essere peggiore rispetto ai pazienti che presentano mutazioni più comuni di EGFR, come le delezioni dell’esone 19 e la mutazione L858R .
“I pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule e EGFR-mutato sono in attesa di nuove opzioni terapeutiche, spesso infatti sono soggetti a prognosi sfavorevole”, dichiara Kiran Patel, Vice President, Clinical Development, Solid Tumours, Janssen Research & Development, LLC. “Il nostro impegno per migliorare la terapia del carcinoma polmonare passa attraverso gli studi in corso con amivantamab in monoterapia e in combinazione con lazertinib, con l’obiettivo di renderlo un potenziale trattamento per pazienti che presentano diverse alterazioni genetiche”.
“Janssen è impegnata nella ricerca e nello sviluppo di trattamenti specifici ed efficaci per tutti i pazienti che non dispongono di terapie adeguate, come le persone con carcinoma polmonare non a piccole cellule con EGFR-mutato che spesso si traduce in una prognosi sfavorevole. Il nostro obiettivo ultimo è aprire nuovi orizzonti in quest’area e avere un impatto significativo sulla malattia”, conclude Catherine Taylor, Vice President, Medical Affairs for Europe, Middle East and Africa, Therapeutic Area Strategy, Johnson & Johnson Middle East FZ-LLC.