(Reuters Health) – Efficace su un terzo dei pazienti affetti da psoriasi a placche, dopo 12 settimane di trattamento. È il risultato di tre studi che hanno valutato l’attività del farmaco per via iniettabile ixekizumab di Eli Lilly, dimostrando che riesce a risolvere la malattia, riducendo il grado di severità. Inoltre, continuando la terapia ogni quattro settimane, almeno la metà dei pazienti avrebbe mantenuto la remissione della psoriasi per le 60 settimane di studio.
È quanto hanno evidenziato i ricercatori americani coordinati da Kenneth Gordon, del Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago, in tre studi clinici denominati UNCOVER. I risultati sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine.
Circa un milione e mezzo di americani sarebbe affetto da psoriasi a placche. Per lo studio sono stati presi in considerazione 3.736 volontari di 100 diversi centri nel mondo. I pazienti erano tutti interessati dal disturbo per una media di 20 anni. Mentre la diffusione della malattia interessava almeno il 25% del corpo.
Nella prima fase di sperimentazione, di 12 settimane, le persone che ricevevano una iniezione sottocute ogni due settimane stavano un po’ meglio rispetto ai pazienti trattati ogni quattro settimane. Più dell’80% ha avuto una completa, o quasi, risoluzione delle placche. Dopo le prime 12 settimane di trattamento, il farmaco è stato somministrato ogni 4 settimane o ogni 12. Ma tra i malati che avevano ricevuto la terapia ogni 2 settimane nella fase iniziale, i risultati sono stati migliori, visto che l’83,3% delle persone in questo gruppo ha avuto una riduzione del 75% della gravità della malattia, valutata secondo lo Psoriasis Area Severity Index (PASI), alla fine del follow-up. Quando il farmaco, durante la prima fase dello studio, è stato somministrato meno frequentemente, una volta al mese, un numero inferiore di pazienti (74,4%), ha avuto lo stesso grado di riduzione della gravità della malattia.
Infine, quando il farmaco è stato somministrato ogni 12 settimane nel periodo di follow-up, meno della metà dei pazienti ha raggiunto lo stesso risultato, al di là di quanto spesso avevano ricevuto la terapia durante la prima fase di trattamento. I ricercatori, comunque, non hanno evidenziato aumenti particolari di problemi cardiovascolari durante le 12 settimane. Durante tutta la sperimentazione, durata in totale 60 settimane, si sono verificate due morti per cause vascolari, mentre una terza è stata registrata, ma per cause ‘sconosciute’. In 11 pazienti trattati con il farmaco, invece, si è avuta una malattia infiammatoria intestinale, contro 3 trattati con placebo.
Tra tutti i volontari, comunque, il 6,7% ha avuto effetti avversi seri e il 4,4% ha dovuto interrompere la sperimentazione a causa di questi. Per quanto riguarda effetti collaterali di minore entità, meno del 20% ha avuto nasofaringite, il 10% ha sofferto di infezioni del tratto respiratorio superiore, il 10,4% ha avuto un’infezione a livello locale nel punto di somministrazione del farmaco, il 6,5% ha riportato mal di testa e il 5,2% dolore alle articolazioni. Infine, le infezioni da Candida sono state comuni tra i pazienti trattati con ixekizumab. I volontari saranno seguiti anche oltre le 60 settimane.
L’Ixekizumab blocca una proteina che causa l’infiammazione e che si pensa abbia un ruolo nello sviluppo della malattia autoimmune. Eli Lilly, grazie a questi risultati, ha avuto l’approvazione della Food and Drug Administration americana a marzo. Secondo il portavoce dell’azienda americana, Scott MacGregor, il prezzo del farmaco negli Usa sarà intorno ai 4mila dollari al mese, a seconda della fase di trattamento, anche se i costi al paziente potrebbero essere inferiori per via di sconti e di programmi di co-pay finanziati dall’azienda.
Fonte: New England Journal of Medicine
Gene Emery
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)