Intercept ha presentato un’analisi del suo studio Regenerate, un test di fase 3 che ha confrontato il farmaco Ocaliva rispetto a un placebo in 2.480 persone con steatoepatite non alcolica (NASH).
L’analisi ha rilevato che il trattamento con Ocaliva, detto anche OCA, “ha portato a miglioramenti precoci verificabili attraverso accertamenti non invasivi e poco costosi. I test sierici possono essere utili per monitorare la risposta precoce al trattamento”.
L’analisi ha esaminato tutti i dati relativi ai 18 mesi di studio, ma i pazienti hanno visto miglioramenti già dopo sei mesi di trattamento. I test comprendevano esami del sangue e accertamenti per immagini, ad esempio l’elastografia, che consente la valutazione della rigidità epatica utilizzando gli ultrasuoni. La speranza è che possano validati test che integrino l’uso della biopsia epatica per valutare i trattamenti contro la NASH.
“Abbiamo scelto pazienti all’interno dello studio Regenerate, indipendentemente dal trattamento ricevuto e dalla situazione della fibrosi epatica” dice Gail Cawkwell, responsabile degli affari medici, della sicurezza e della farmacovigilanza per Intercept.
La fibrosi e le cicatrici vengono osservate con una biopsia e misurate utilizzando una scala da 0 a 2. Ma questo approccio può essere impreciso perché, dice Cawkwell, “inquadra il paziente in categorie di troppo grandi dimensioni”. Infatti, “La differenza tra fase 1 e fase 2 potrebbe essere notevole e quindi suscettibile di variabilità eccessiva che rende difficile valutare se ci sia stato un reale miglioramento dopo la terapia”.
L’analisi ha rilevato che nei pazienti la cui fibrosi è migliorata, i pazienti trattati con placebo sono migliorati un poco mentre quelli curati con Ocaliva sono migliorati “un po’ di più e in modo lineare e continuo nel tempo”, aggiunge il manager. Per i malati nei quali fibrosi epatica è rimasta la stessa, il placebo non ha fatto registrare nessun cambiamento nei punteggi dei test non invasivi mentre i punteggi dei pazienti trattati con Ocaliva sono migliorati nel tempo.
“Probabilmente alcuni effetti positivi del farmaco non possono essere osservati con una biopsia epatica, l’attuale gold standard”, osserva Cawkwell. Inoltre, la biopsia epatica è invasiva, costosa e soggettiva: i risultati dipendono dalla zona del fegato dalla quale proviene il campione e dall’esperienza del patologo.