Prevenzione, ricerca, innovazione sono tre asset fondamentali per poter vincere la sfida della Global Health, sfida su cui nel nostro Paese devono convergere tutti gli attori per garantire sostenibilità sistema. Per dare le risposte necessarie alla salute globale, generare benessere e ridurre le disparità è necessario un cambiamento, che ha bisogno della collaborazione di tutti gli attori coinvolti. Questo è il messaggio attorno al quale si sono confrontati ieri a Roma esponenti istituzionali, di Governo, Parlamento, Regioni, associazioni, accademia, società scientifiche e industria nel corso dell’evento ‘InnovaCtion, Ricerca, innovazione e cambiamento per la salute del futuro‘, promosso da Gsk e giunto alla sua seconda edizione. Focus dell’iniziativa la Global Health, l’innovazione sanitaria per le comunità e gli investimenti necessari a generare maggiore competitività e indipendenza per il Paese, e così ripensare la salute quale motore di benessere globale.
Sfide di salute globale
La Global Health è una sfida geopolitica internazionale, nazionale e regionale da affrontare unendo l’impegno e l’expertise delle Istituzioni e delle aziende che investono in innovazione e ricerca. Il luogo in cui si vive condiziona ancora le possibilità di condurre una vita in salute. Anche oggi le malattie infettive nei paesi a basso reddito hanno un impatto sproporzionato sulla popolazione, basti pensare all’incidenza in molte parti del mondo dei principali fattori di morbilità e mortalità quali la tubercolosi (TBC), la malaria, l’HIV, la resistenza antimicrobica (AMR) e le malattie tropicali trascurate (NTD).
Come precisato da Deborah Waterhouse, Ceo di ViiV Healthcare e presidente Global Health presso Gsk, se non trattate, queste malattie provocano risultati sanitari scarsi, disturbi mentali legati allo stigma e un aggravamento delle disuguaglianze sociali e sanitarie. La prevenzione e il trattamento delle malattie infettive, insieme a un accesso duraturo ai vaccini e ai farmaci è una parte fondamentale della risposta globale per affrontare le sfide sanitarie, in particolare nei paesi a basso reddito.
E ancora. “Tra il 2021 e il 2030 Gsk ha l’ambizione di avere un impatto positivo su oltre 2,5 miliardi di persone, di cui 1,3 appartiene a Paesi a basso reddito nei quali ambiamo a cambiare la traiettoria delle malattie ad alto carico, specialmente quelle infettive come tubercolosi, malaria, malattie tropicali trascurate e Hiv, insieme alla resistenza antimicrobica. Stiamo lavorando allo sviluppo di nuovi farmaci e vaccini nei nostri due centri di ricerca e sviluppo, uno dei quali è qui a Siena. A ciò aggiungiamo l’obiettivo di dare un accesso equo al portafoglio e alla pipeline di Gsk e di rafforzare le partnership per sostenere i sistemi sanitari, per garantire che la nostra innovazione raggiunga i pazienti che ne hanno più bisogno. Per raggiungere questi obiettivi, l’anno scorso abbiamo annunciato l’investimento di 1 miliardo di sterline in 10 anni per accelerare la ricerca e lo sviluppo nel settore sanitario globale”, ha concluso Waterhouse.
A proposito di Hiv è intervenuto Stefano Vella, Professore di Salute Globale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma: “Dobbiamo fare di più per l’Africa, facendo tesoro di quanto ottenuto con l’Hiv in ottica di salute globale. Ci sono ancora gap da superare, dato che l’obiettivo in termini di Hiv è di avere zero bambini colpiti dall’infezione, un risultato raggiunto in Italia ma ancora non ottenuto nei Paesi a basso reddito. D’altronde non esiste un Paese che può crescere se la popolazione non è in salute, quindi occorre un maggiore accesso alle terapie, anche in Italia, e una migliore collaborazione tra pubblico e privato, perché altrimenti non ce la si fa”.
Per quanto riguarda il nostro Paese, “in Italia abbiamo sacche di popolazione non sono raggiunte dalle migliori tecnologie preventive. Se parliamo di Hiv almeno metà della nostra popolazione sieropositiva non riesce a ricevere terapie prima della comparsa di sintomi da Aids”, ha precisato Roberta Siliquini, presidente Siti – Società Italiana di Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica. “Serve sì la ricerca ma anche la diffusione dei suoi risultati, sia come politiche internazionali ma anche di politiche di prevenzione nazionali, che tengano conto delle differenze nel Paese per definire nostre priorità e attività preventive”. In un contesto più generale, ha concluso Siliquini, “di fatto, abbiamo tutto ciò che serve per avere elevati standard di salute: sul fronte vaccinazione, direi che occorrerebbe ripensare gli indicatori previsti dal Piano nazionale di prevenzione. Ad esempio, le soglie indicate per la copertura degli adulti e anziani andrebbero alzate, se teniamo conto che su un euro peso in prevenzione vaccinale se ne risparmiano 4 in costi sociali e di cura”.
Quello dell’antimicrobico resistenza è un altro dei grandi temi che interessano la salute globale. Secondo Raffaele Donini, Coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, rappresenta “una frontiera che ci deve unire tutti come prevenzione e ricerca. Abbiamo raggiunto successi insperati rispetto anni fa per la cura contro il cancro e i tumori, che stanno diventando sempre più malattie croniche. Il rischio futuro è invece la sepsi, l’infezione frutto di AMR che accumuna i paesi ricchi per l’alto uso di antibiotici a quelli poveri, che per scarsa disponibilità di antibiotici non hanno perciò cura di ingresso”.
Dello stesso avviso anche Maria Rosaria Campitiello, Capo segreteria tecnica Ministro ministero della Salute: “L’antimicrobico resistenza è pandemia silenziosa che ogni anno uccide 1,2 milioni di persone. Per questo la costruzione di una nuova architettura della Global Health deve tenere conto della sperequazione tra Paesi industrializzati e quelli in sviluppo. L’Italia ha dimostrato la sua incisività in termini di salute globale sposando di fatto quello che è un approccio One Health anche finalizzato alla cooperazione internazionale”, ha ricordato ancora Campitiello. “Ricordiamo – ha concluso – che l’aspetto sanitario, e quindi l’aiuto sanitario, è di diritto parte integrante del Piano Mattei che è finalizzato alla cooperazione e all’aiuto dei Paesi meno industrializzati incidendo fondamentalmente su due linee parallele: la formazione di personale medico e paramedico nei Paesi meno industrializzati e per rendere più equa la sanità, e sulla migrazione legale”.
La Global Health è dunque “una leva di relazioni internazionali, anche se oggi lo scenario non è semplice, e abbiamo il maggior numero di conflitti dalla seconda guerra mondiale”, ha detto Deborah Bergamini, Terza Commissione Affari esteri e comunitari Camera Deputati. “Lavorare sul fronte della salute globale ci aiuta ad affrontare gli esiti da mancato sviluppo, cambiamento climatico, migrazioni. La logica del piano Mattei include la componente della salute come strumento chiave di cooperazione virtuosa. Dobbiamo sì attrarre investimenti sul settore farmaceutico e sulle competenze, ma in ottica della prossima presidenza del G7 nel 2024 vogliamo favorire la manifattura dei vaccini in Africa per produrli in loco”.
Una popolazione che invecchia
In una popolazione che invecchia ma che vuole e deve rimanere attiva, la prevenzione diventa la chiave per garantire la sostenibilità del Sistema Paese e deve puntare a un nuovo approccio per dispiegare al meglio i propri effetti. Entro il 2030, si prevede che il numero di persone di età pari o superiore a 60 anni aumenterà di oltre un terzo, raggiungendo 1,4 miliardi di persone. L’Italia è uno dei Paesi più longevi: si conferma al secondo posto tra i 27 Stati Membri dell’Unione Europea, con 83,6 anni, dopo la Spagna. In particolare, gli over 65 italiani rappresentano il 23% (oltre 4 punti percentuali in più rispetto alla media UE) della popolazione totale, e nel 2050 si prevede che ne costituiranno fino al 35%. È necessario perciò ripensare l’attuale sistema di welfare e sanitario, considerando che 4,8 milioni di persone sono a rischio di esclusione sociale. Non parliamo solo di un costo, però, per servizi assistenziali e sociosanitari, poiché questa fascia costituisce una vera e propria economia che vale il 19,4% del Pil in termini di reddito, pari a 321,3 miliardi di euro (37,2% di quelli rilevati a livello nazionale) e di consumi, 176,1 miliardi di euro, pari al 25% dei consumi delle famiglie italiane. Se si pensa poi ai cinquantenni, in dieci anni sono cresciuti più del 50% tra gli occupati, ossia 8,9 milioni nel 2020 rispetto ai 5,9 del 2010. Mantenere in buona salute la popolazione adulta significa quindi favorire la ricchezza, incrementare i consumi e ridurre i costi socio-assistenziali nel tempo.
Secondo Mariuccia Rossini, Presidente Silver Economy Network, mantenere attiva la popolazione anche in età avanzata riduce il rischio di sviluppare patologie croniche. “L’Italia conta 14 milioni di ultra 65, che se restano attivi anche sul lavoro hanno tre volte in meno la probabilità di contrarre malattie croniche, evitano il decadimento cognitivo e l’isolamento sociale. Non parliamo di lavori usuranti, però avere una popolazione di lavoratori anche oltre i 65 anni è già una realtà in altri Paesi. E non si assiste alla disoccupazione giovanile, anzi resta intorno al 4-5% a fronte del 25% italiano. Dobbiamo considerare positivamente il passaggio di conoscenze tra generazioni, ma anche di politiche che implementano invecchiamento attivo, mentre per i fragili serve più flessibilità dei servizi, digitalizzazione e strumenti che spesso confliggono con le regole attuali. Ma i nuovi modi di fare salute, in ottica 4.0, riducono i costi che oggi pesano sul bilancio”.
Secondo Ignazio Zullo, X Commissione permanente “Affari sociali, Sanità, Lavoro pubblico e privato, Previdenza sociale”, Senato della Repubblica, presidente dell’intergruppo parlamentare sull’invecchiamento attivo “l’anziano è una risorsa, sia per le esperienze da trasferire alle nuove generazioni ma anche per l’impegno in attività sociali importanti nella società. Dobbiamo potenziare la prevenzione ma anche investire sulla riabilitazione degli esiti, con un intervento legislativo per finanziare la prevenzione secondo le indicazioni del 6% del fondo sanitario nazionale, mentre oggi si spende il 3,5%. Le malattie degenerative e la perdita di autonomia nell’anziano richiedono quindi maggiore prevenzione e promozione della salute, per invecchiare in autosufficienza. Sul fronte del DDL anziani mancano i decreti attuativi e su questo si gioca l’architettura organizzativa su territori e sulle regioni, però sicuramente cambieremo il modo di stare accanto ai nostri anziani”, ha concluso il Senatore.
Apertura in questo senso è arrivata anche dall’On Ugo Cappellacci, Presidente della XII Commissione “Affari sociali” Camera dei Deputati che ha ricordato, infatti, che il ministero sta lavorando sui decreti attuativi: “ho personalmente parlato con il ministro Calderone e sono a buon punto”, ha precisato. “Appena saranno trasmessi alla Camera e calendarizzarli mi attiverò perché siano licenziati rapidamente. C’è tutta la volontà da parte del Ministro di dare corpo e gambe al ddl e quindi risorse, in questo senso sono moderatamente ottimista”.
“L’Italia oggi è di fronte a un cambiamento demografico importante, con la crescita di popolazione con più di 65 anni e che presenta almeno una malattia”, ha detto Fabio Landazabal, Presidente e Ad Gsk Italia. “Stiamo arrivando a un nuovo paradigma in cui è fondamentale curare lo stile di vita, quindi alimentazione e movimento, ma anche integrare la vaccinazione come strumento preventivo e parte della terapia per pazienti con una o più patologie. Non c’è vera innovazione se questa non arriva al cittadino, quindi occorre potenziare la collaborazione pubblico-privato in modo trasparente. Il Pnrr è una grande opportunità per sviluppare il potenziale economico italiano di un vero e proprio piano Marshall per le scienze della vita”.
Un percorso di salute che ruoti attorno alla Prevenzione 2.0
In tal senso è essenziale prevedere un percorso di salute che ruoti attorno a un nuovo concetto di prevenzione, una “Prevenzione 2.0”, una presa in carico della persona, che possa contribuire a garantire un futuro di salute alla popolazione. In tal senso, la proposta del Direttore Generale del Ministero della Salute, Francesco Vaia, Direttore Generale Prevenzione del Ministero della Salute, di un “Calendario della salute”, che segni idealmente tutte le tappe più importanti della salute della persona, rappresenta un approccio vincente. Disegnare un percorso che dall’allattamento al seno alle vaccinazioni dell’infanzia e dell’adolescenza, sino ad arrivare alle vaccinazioni dell’età adulta, ancora troppo sottovalutate, quando invece costituiscono tappe fondamentali, insieme agli screening, per un invecchiamento in salute. La riflessione del Prof. Vaia si è focalizzata anche sulla pandemia da Covid-19. “Durante la pandemia abbiamo visto l’impatto dell’innovazione che è stata farmaceutica, il vaccino è stato il vero salto in avanti. Abbiamo anche capito che serve una buona informazione, e che la politicizzazione di questi temi è dannosa. Abbiamo anche operato in un contesto in cui il ministero della Salute ha scarsa disponibilità e anche il Pnrr è stato un po’ avido rispetto alle necessità. Non dobbiamo dimenticare però l’utilità di investire sulla prossimità dei servizi: anche oggi occorre vaccinare nei mercati rionali, nelle farmacie, dai pediatri di libera scelta, dobbiamo rilanciare la vaccinazione contro l’influenza e contro le malattie respiratorie, con attenzione ai grandi anziani. Oggi finiscono in ospedale perché con diverse patologie, e perché non vaccinati. Quindi tutte le regioni utilizzino tutti i setting assistenziali e gli open day”.
Purtroppo però, come specificato da Beatrice Lorenzin, V Commissione permanente per la programmazione economica Bilancio – Senato della Repubblica, “siamo di fronte a una popolazione occidentale che mostra resistenza alla vaccinazione, quasi con un ritorno a posizioni arcaiche anche verso vaccini di comprovata efficacia. La lezione che ha dato il Covid e che dobbiamo aver imparato è di prepararci a nuove crisi future: siamo 8 miliardi di persone che si muovono velocemente e così fanno i virus, oltre al fatto che i mutamenti climatici incidono sulla loro diffusione. Abbiamo visto che senza un servizio sanitario nazionale e globale funzionanti, che garantiscano l’accesso alle terapie, non tengono né il singolo né la comunità”.
Certo è che per non ci può essere prevenzione senza una corretta informazione tesa a consapevolizzare le persone e a renderli parte attiva del proprio percorso di salute. “Non si fa prevenzione senza che i cittadini abbiano le informazioni di alfabetizzazione sanitaria e quindi si attivino, quindi serve consapevolezza e far proprie le conoscenze per gestire al meglio la propria malattia”, ha detto Anna Lisa Mandorino, Segretario generale di Cittadinanzattiva. “Ma occorrono pure facilitare l’accesso e la prossimità dei servizi. Sul piano della riforma dell’assistenza territoriale prevista nel Pnrr non c’è stata in fase ascendente la partecipazione dei cittadini, per capire cosa ci sia già sul territorio, che ha già delle risorse. Come le organizzazioni del Terzo settore che svolgono l’80% dei servii sociali, oltre alle farmacie, i consultori, i distretti. Serve un nuovo modello di governance più integrata tra governo centrale, regioni, enti territoriali: se i punti partenza sono troppo disuguali non basta aggiungere risorse. Lo vediamo con le campagne di screening: tra sud e nord Italia ci sono differenze nell’usare i fondi, che ci sono. E questo riguarda anche la digitalizzazione. Già prima della pandemia alcuni territori interni chiedevano maggiore telemedicina: era già possibile rispondere a questa richiesta, ma c’è voluta la pandemia per dare un impulso decisivo all’uso delle tecnologie, si veda la ricetta elettronica che in poco tempo è diventata di sistema. Questi strumenti favoriscono la prossimità, però servono misure che allentino il divario come con accade con l’età avanzata. In questo senso però molto possono fare i caregiver, se fossero riconosciuti come tali”.
Cosa si fa per la prevenzione per l’adulto
Infatti, per parlare di invecchiamento attivo oltre a seguire un buono stile di vita le strategie nazionali, europee e internazionali dovrebbero dare priorità alla protezione e alla prevenzione. In questo senso, i programmi di immunizzazione “durante il corso della vita” sono una delle misure più efficaci per tutelare la salute pubblica, l’economia e ridurre le disparità sociali. Tuttavia, se si esclude quanto fatto per il Covid-19, quasi l’80% dei Paesi europei investe meno dello 0,5% della propria spesa sanitaria per i programmi di vaccinazione. E l’Italia investe lo 0,7% della spesa farmaceutica totale (20,5 miliardi nel 2022 secondo AIFA) nei vaccini per adulti, ovvero circa 144 milioni di euro. La prevenzione dunque è la chiave di volta per un futuro sostenibile e la vaccinazione, come detto, rappresenta un tassello imprescindibile
“Per fare buona salute devono agire più leve, anche a fronte del drastico cambiamento della società e delle prospettive di finanziamento del sistema sanitario nazionale”, ha detto Daniela Bianco, The European House Ambrosetti. “Oggi in media si trascorrono 22,5 anni non in buona salute, quindi urge agire in prevenzione, anche perché negli ultimi 5 anni sono aumentati i fattori di rischio tra i giovani e gli adulti. Se guardiamo la fascia dei fragili, incrementando le coperture vaccinali contro influenza, pneumococco e herpes zoster si potrebbero evitare costi da 1 fino a 10 miliardi di euro, quindi è chiaro che la prevenzione è anche fattore di crescita economica, oltre che di benessere nella popolazione. A livello comunitario, sarebbe importante far cambiare approccio e considerare queste spese in contabilizzazione dei bilanci nazionali come voci di investimento. D’altronde, il settore è capace di generare un effetto moltiplicatore sulla crescita come valore aggiunto, occupazione, benessere dei cittadini. Nel 2022 le 47 aziende farmaceutiche a capitale estero di IAPG e Eunipharma hanno generato 5,93% di valore aggiunto, in cui oltre il 90% degli investimenti è andato in ricerca clinica. Questa filiera industriale è essenziale per l’ecosistema delle life sciences”.
Il settore farmaceutico è pronto a dare il proprio contributo
Eppure, grazie all’innovazione farmaceutica, in 20 anni in Italia la mortalità per le patologie croniche è diminuita del 40% e nel 2022 il settore si è confermato fra quelli a più alto tasso di innovazione, con investimenti pari a 3,3 miliardi di euro, di cui 1,4 destinati agli impianti di produzione e 1,9 alla ricerca e sviluppo. Sempre nel 2022, l’Italia ha raggiunto un valore di produzione farmaceutica di oltre 49 miliardi di euro, in cui le aziende a capitale estero costituiscono un motore trainante per l’innovazione, con un’incidenza in termini di valore della produzione maggiore del 60%. Un comparto che già oggi rappresenta il 2% del PIL e che potrebbe generare ulteriore benessere in termini di salute per una popolazione in progressivo invecchiamento, per l’export, il lavoro e la crescita economica.
Gsk ha scelto l’Italia dagli inizi del ‘900 per insediare poli strategici di ricerca e produzione e per investire nel paese, dove oggi può contare su oltre 3.600 dipendenti di 47 nazionalità diverse, di cui il 65% di laureati e il 51% di donne di cui, a sua volta, il 44% occupa posizioni manageriali. Nel 2022 l’azienda ha impiegato 355 milioni in lavoro e retribuzioni, sviluppando un fatturato di 1,2 miliardi di euro di cui il 40% per l’export di prodotti e servizi. Ancora più rilevante l’impegno quinquennale di Gsk negli investimenti che vede, nel periodo 2020-2025 un totale previsto di 800 milioni di euro, di cui il 59% destinato ai vaccini ed il 41% ai farmaci mentre alla sola ricerca va il 14% del totale.
“GSK ha scelto da tempo l’Italia per insediare poli strategici di ricerca produzione e ha continuato a farli crescere negli anni, ottenendo notevoli risultati in termini di farmaci e vaccini innovativi messi a disposizione di tutto il mondo. Noi crediamo nel Sistema Paese e vogliamo continuare a contribuirvi ma come tutto il settore siamo soggetti alla pressione competitiva di altri paesi che sanno attrarre gli investimenti con migliori condizioni di accesso all’innovazione, di tutela della proprietà intellettuale e con sistemi decisionali e regolamentari più rapidi”. Ha dichiarato Fabio Landazabal, Presidente e AD di GSK Italia. “Con i cambiamenti dell’economia ed il progressivo invecchiamento della popolazione non basta però aumentare le risorse a disposizione per migliorare la salute della popolazione, salvaguardare l’economica ed incoraggiare il settore. Serve un nuovo piano nazionale per le scienze della vita, pensato insieme da politica, istituzioni nazionali e regionali, accademia, associazioni e settore privato che integri le nuove tecnologie e consenta una presa in carico della persona a 360 gradi, nella prevenzione e nel trattamento e che faciliti l’accesso all’innovazione, generando attrattività all’investimento e sviluppo per il Paese”.
“Il primo investimento che facciamo è sul capitale umano: 3.600 colleghi professionisti lavorano a Verona, Siena, Rosia, Parma, impegnati in sviluppo e ricerca su farmaci innovativi, che offrono risposta in aree terapeutiche dove ci sono bisogni insoddisfatti: prevenzione vaccinale, oncologia, area respiratoria, malattie infettive, AMR, Hiv”, ha aggiunto Maurizio Amato, Presidente e AD ViiV Healthcare – GSK Italia. “Abbiamo una visione olistica assicurando che la filiera sia realizzata in Italia – la ricerca a Siena, produzione ad alta tecnologia a Rosia e Parma. E nel quinquennio 2020-2025 abbiamo destinato 800 milioni di euro, di cui il 59% destinato ai vaccini e il 41% ai farmaci. Mentre per la ricerca va il 14% del totale. Inoltre, sul piano occupazionale il 65% è costituito da laureati: il 51% sono donne tra le quali il 44% occupa posizioni manageriali. Abbiamo però bisogno di certezza delle regole da parte delle istituzioni per poter pianificare il futuro, dobbiamo poter difendere la proprietà intellettuale, avere certezza di risorse e di provvedimenti amministrativi che velocizzino l’accesso ai farmaci da parte delle persone che hanno bisogno dii prodotti innovativi”.
Parlando del polo di Siena, Ennio De Gregorio, Amministratore Delegato di GSK Vaccines, l’ha descritto come un centro di eccellenza e di ricerca per lo sviluppo di vaccini per la prevenzione di infezioni batteriche. “La tradizione è quella delle meningiti, – ha detto – A Siena sono stati scoperti almeno tre vaccini per le meningiti e stiamo lavorando tantissimo ancora per fare nuovi vaccini per prevenire la meningite da meningococco. Le tecnologie che abbiamo sviluppato per ottenere dei vaccini efficaci contro le meningiti sono anche utili per vaccini che possono prevenire infezioni batteriche da batteri che sviluppano resistenza agli antibiotici”, ha proseguito De Gregorio. Inoltre, “esiste un centro all’interno nel nostro sito che si chiama GVGH, Gsk Vaccines Institutes for Global Health, che è dedicato in modo specifico ai vaccini per prevenire le infezioni endemiche nei paesi a basso reddito quindi dei vaccini che non sono fatti per far profitti ma semplicemente per risolvere questo importante bisogno medico dei paesi a basso reddito”.
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