“Le industrie che producono medicinali equivalenti soddisfano circa il 35% del fabbisogno farmaceutico italiano. Ma necessitano di misure che consentano di continuare a produrre cure che stanno diventando, per le imprese, economicamente non sostenibili. Alcune di queste misure potrebbero trovare spazio nella legge di bilancio, altre hanno bisogno di una programmazione del tempo. È urgente però occuparsene oggi, altrimenti il problema delle carenze non farà che aumentare di proporzione e noi non saremo in grado di assolvere alla nostra funzione competitiva”. È l’appello lanciato in un’intervista a Quotidiano Sanità da Enrique Häusermann, presidente di Egualia, l’associazione che rappresenta l’industria dei farmaci generici equivalenti, biosimilari e value added medicines in Italia.
Gli ultimi dati Egualia, relativi al 2023, fotografano in Italia un utilizzo degli equivalenti ancora molto inferiore rispetto ad altri Paesi europei, “pari al 25% a volumi fra farmaci rimborsati e non – ricorda il presidente – con la storica suddivisione fra Nord che va ben oltre il 40%, Centro al 28% e Sud al 22%. Questo in termini sia di utilizzo che di spesa. Sono stati fatti passi avanti, dunque, ma rimaniamo ancora sostanzialmente indietro. Questo è un tema culturale storico e lo dimostra il miliardo di euro che i cittadini italiani spendono di tasca propria per coprire la differenza di prezzo fra prodotti equivalenti e ‘griffati’, una cifra che rimane peraltro concentrata in Regioni e fasce di popolazione che trarrebbero il maggior vantaggio dall’accesso a farmaci a più basso costo. In ogni caso quasi il 50% dei medicinali equivalenti commercializzati nel mercato nazionale sono prodotti in Italia. È questo che ci consente di mantenere un primato: subito dopo la Germania siamo il Paese con il maggior numero di imprese, oltre 60, per un fatturato annuo di 3,2 miliardi di euro (8,8 con l’indotto), 10.000 addetti e 30 siti produttivi in Italia”.
Per i biosimilari il percorso è stato più brillante, “siamo tra i Paesi che ne fanno maggior uso, sempre con ampie differenze regionali, e nonostante rimanga il tema dell’accesso a singhiozzo alle terapie con farmaci biologici nel territorio italiano. I biosimilari hanno mantenuto la loro promessa, ma c’è ancora molto spazio da conquistare. Entrambi i segmenti sono comunque caratterizzati da temi comuni: quello della sostenibilità industriale in primis. Da un lato molti equivalenti sono oggi sotto la soglia della sostenibilità e rischiano di sparire, per la crescente pressione operata dall’aumento dei costi produttivi e dalle politiche di contenimento della spesa. Dall’altro, a fronte del fatto che il livello di rimborso è fisso se non in discesa per i prodotti fuori brevetto, si deve considerare che oltre il 25% dei farmaci in lista trasparenza ha un prezzo sotto i 5 euro, di cui meno della metà è la quota su cui l’industria può contare per garantire continuità di produttiva e di fornitura. Molte delle imprese stanno avendo grandi problemi di sostenibilità per questi motivi, con conseguenti problemi di carenze. Pensiamo al caso amoxicillina, è ben noto perché molte famiglie lo hanno sperimentato questo inverno. Ma ci sono fortissime criticità nel garantire oggi la continuità nella produzione di farmaci iniettabili anche oncologici, soluzioni infusionali, antidiabetici. Non vogliamo essere allarmisti, ma stiamo davvero facendo i salti mortali”.
Non solo. “Si notano ora anche le prime indisponibilità di biosimilari – fa sapere Häusermann – e iniziamo a vedere che rispetto allo sviluppo di nuovi prodotti, un biologico su 2 che vedrà scadere il proprio brevetto nei prossimi 5 anni al momento non ha un biosimilare candidato in sviluppo, perché le condizioni di mercato non ne favoriscono la messa in produzione. Sono segnali importanti che stiamo trasferendo alle autorità da tempo. Credo che la manovra finanziaria sia un primo binario su cui procedere, ma che non potrà essere la soluzione a tutto. Ci sono temi per così dire ‘di legislatura’ e temi cogenti e immediati”.
“Per il modo in cui è governata la spesa farmaceutica pubblica in Italia – prosegue il presidente Egualia – il tema del finanziamento è indubbiamente prioritario: servono risorse aggiuntive. Bene hanno fatto i ministri Urso (MIMIT) e Schillaci (Salute) a convocare un tavolo, che ha anche generato prime importanti iniziative. Alla fine di luglio è stato messo in campo uno strumento per consentire un accesso agevolato al finanziamento anche alla filiera industriale non limitata alle Regioni del Sud. È la direzione giusta. Ma la soluzione per molti dei temi in questione passa attraverso due direttive: governance e politica industriale. Noi abbiamo un ruolo centrale nella salvaguardia del sistema pubblico di assistenza farmaceutica, ma come comparto la nostra competitività è seriamene in pericolo, in un quadro complicatissimo in cui Usa e Cina hanno investito miliardi in ricerca e produzione. Sulla spesa farmaceutica convenzionata serve un indirizzo prospettico chiaro, che tenga conto dell’esplosione dei costi, almeno per i prodotti a più basso prezzo (è il caso di quelli sotto i 5 euro di rimborso, ma non ci sono solo quelli). Gli interventi vanno programmati: non si può continuare ad intervenire caso per caso, in modo emergenziale, quando scoppia una carenza. Sulla farmaceutica convenzionata le imprese riconoscono ai sistemi sanitari regionali il 3,12% del prezzo ex factory dei farmaci, equivalente all’1,83% sul prezzo al pubblico, nato come contributo straordinario 10 anni fa e poi mai rivisto. Agire a questo livello potrebbe essere una prima azione per la sostenibilità delle nostre produzioni, altrimenti alcune fasce di medicinali rischiano di sparire. L’amoxicillina è stato un esempio, ma ce ne sono tanti altri”.
Altro capitolo, quello del payback “sulla spesa per acquisti diretti. Questo riguarda naturalmente soprattutto farmaci ad alto costo e con un certo livello di innovatività – dice Häusermann – ma anche le nostre imprese sono chiamate a contribuire, con un impatto tendenziale stimato attorno al 15% del fatturato. Una misura ancora più pesante per noi che forniamo farmaci fuori brevetto acquistati in gara, considerando peraltro che nel computo finiscono anche i farmaci compresi nel fondo speciale per gli innovativi, quando scade il loro criterio di innovatività. Su questo punto pensiamo che ci sia una criticità forte, e che serva riflettere sul sistema nel suo complesso: da un lato è necessario che si rendono più sostenibili i fuori brevetto nella convenzionata, dall’altro è necessario destinare sufficienti risorse agli acquisti diretti dove il peso dei payback e la sua ripartizione non è più sostenibile. Infine, la distribuzione diretta e per conto: serve una disciplina a livello nazionale che eviti le storture regionali registrate in questi anni, per creare un sistema in linea con gli obiettivi di sostenibilità della spesa e omogeneità di accesso per i pazienti, ma anche assicurare all’industria di continuare, in maniera industrialmente sostenibile, a fornire medicinali a prezzi accessibili”.