Nonostante i tamponi per il COVID-19 siano ormai diventati una routine, a due anni dallo scoppio della pandemia, i funzionari sanitari di alcuni paesi mettono in dubbio l’efficacia dei test di massa come strategia per contenere le infezioni, soprattutto considerando i costi miliardari di questa pratica.
Il Paese che più dubita dei test diffusi è la Danimarca, che all’inizio della pandemia ne ha fatti molti, ma ora chiede uno studio approfondito sull’efficacia di questa strategia.
Il Giappone, invece, ha fatto pochi test su larga scala ve ha resistito relativamente bene alla pandemia, stando ai tassi di infezione e mortalità. Altri Paesi – come Gran Bretagna e Spagna – hanno ridotto nel tempo la frequenza dei test di massa, mentre questa pratica resta centrale nella strategia della Cina che punta a “casi zero”.
L’OMS ha esortato i paesi a testare il più possibile dopo l’identificazione del coronavirus e la sorveglianza a livello globale ha aiutato a comprendere il rischio di malattia grave o morte, nonché di trasmissione. Ora, con il predominio della variante Omicron, relativamente più lieve, e la disponibilità di vaccini e trattamenti più efficaci, secondo gli esperti si dovrebbero prendere in considerazione attività più mirate, come per esempio il campionamento della popolazione.
Le linee guida dell’OMS non hanno mai raccomandato screening di massa su pazienti asintomatici, come sta attualmente accadendo in Cina, a causa dei costi e della mancanza di dati sull’efficacia.
Alcuni esperti sostengono che i test diffusi abbiano ridotto la velocità di trasmissione del virus, fino al 25%; l’evidenza emerge da uno studio danese.
Altri, invece, mettono in dubbio queste stime e parlano di ‘incertezza’ sull’impatto dei test.
Tra le spiegazioni per cui i test potrebbero non aver funzionato adeguatamente, trova riscontro quella secondo cui molte persone risultate positive non si siano adeguatamente isolate.
Uno studio pubblicato da BMJ – svolto nel periodo precedente la diffusione della variante Omicron – ha rilevato che solo il 42,5% dei casi positivi è rimasto a casa per l’intero periodo di isolamento consigliato.
Fonte: Reuters
(Versione italiana Daily Health Industry)