Vendere un farmaco ‘potente’, un blockbuster, con un gruppo relativamente piccolo di forza vendita, può rivelarsi una formula vincente per aziende biotech e farmaceutiche. In altre parole, dedicare una task force super preparata al farmaco che trascina le vendite di tutta l’azienda. Una formula interessante, che tuttavia rischia un effetto boomerang se non è controbilanciata da un adeguamento competitivo della pipeline. Le grandi aziende biotech sono sempre più attente alle risorse, ottimizzano le operazioni, cercando modi per controllare i costi e rafforzarsi con accordi di M&A e licenze. Anche che così può irrobustirsi il portafoglio. Ed è la strategia adottata dalle aziende biotech più produttive negli ultimi anni. Gilead si è buttata nell’epatite C con l’acquisizione di Pharmasset nel 2011 e man mano che questo settore andava calando, si è messa a guardare al futuro, in particolare alla promettente terapia oncologica CAR-T, acquisendo Kite Pharma. Allo stesso modo, AbbVie ha tirato fuori 20,8 miliardi di dollari per Pharmacyclics e il suo portfolio di farmaci oncologici, in particolare il blockbuster Imbruvica, pur continuando a dipendere ancora molto da Humira e dall’aumento del prezzo di quest’ultimo. Per quel che riguarda il farmaceutico, al momento assistiamo soprattutto alla cessione di asset ritenuti ormai non strategici. Pfizer, per esempio, ha ceduto il business degli integratori alimentari a Nestlé e la Business Unit deì farmaci veterinari Zoetis e ora sta cercando di vendere l’unità dei farmaci di automedicazione.