Cellule staminali per la SM? Bene la fase I dello studio first in human guidato da Angelo Vescovi

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L’iniezione di cellule staminali neurali allogeniche nel cervello di pazienti con sclerosi multipla progressiva (SM) è risultata sicura e ben tollerata, e l’effetto positivo si è protratto per oltre 12 mesi. È quanto emerge da uno studio di fase I focalizzato sulla terapia cellulare avanzata per la sclerosi multipla progressiva, i cui risultati sono stati pubblicati da Cell Stem Cell.

Il team internazionale di ricerca – che ha visto una massiccia partecipazione di ricercatori dell’Ospedale IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo – è stato guidato dallo scienziato italiano Angelo Vescovi, dell’Università di Milano – Bicocca.

Le cellule staminali impiegate nello studio sono state prelevate dal tessuto cerebrale di un donatore fetale abortito  e trapiantate nel cervello di 15 pazienti.

Nel corso del follow-up di 12 mesi, nessun paziente ha mostrato un aumento della disabilità e non sono emersi sintomi riconducibili a una ricaduta. La funzione cognitiva dei partecipanti allo studio non ha subito un peggioramento significativo nel corso della sperimentazione.

Un sottogruppo di pazienti è stato valutato nell’ambito dei cambiamenti volumetrici del tessuto cerebrale associati alla progressione della malattia. I ricercatori hanno evidenziato che maggiore è stata la quantità di cellule staminali iniettate, minore si è rivelata la riduzione del volume cerebrale nel tempo. Un dato che suggerisce un possibile effetto di attenuazione dell’infiammazione provocato dal trapianto.

Lo studio ha esaminato anche il metabolismo del cervello dopo la terapia con cellule staminali, misurando i cambiamenti nei fluidi cerebrali e nel sangue nell’arco dei 12 mesi. I ricercatori hanno individuato segni correlati alle modalità con le quali il cervello elabora gli acidi grassi, che sono collegati all’efficacia del trattamento e all’evoluzione della malattia. Inoltre, è stato individuato un rapporto positivo dose-correlato tra cellule staminali e acidi grassi, che è durato per 12 mesi. Durante la sperimentazione sono stati riscontrati alcuni effetti collaterali, che si sono rivelati temporanei o reversibili.

Secondo il team che ha condotto la ricerca il trattamento ha portato a “una sostanziale stabilità della malattia senza segni di progressione”.

Il coautore Stefano Pluchino, dell’Università di Cambridge, sottolinea che, nonostante i limiti dello studio – come le dimensioni ridotte del campione e possibili effetti confondenti dovuti ai farmaci immunosoppressori – la sicurezza del trattamento e la sua durata di 12 mesi consentono di proseguire con le fasi successive. “Questo studio apre à la strada a trial di efficacia più ampi “, conclude il primo autore Angelo Vescovi, dell’Università di Milano-Bicocca

 

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