Il fenomeno dei “medici a gettone” è ormai diffuso in tutta Italia. Il punto è che in Italia non mancano i medici (quelli a “gettone” lo sono), ma mancano medici nel Ssn perché in pochi scelgono di fare carriera nel sistema pubblico e in troppi decidono di dimettersi dopo qualche anno. La soluzione, allora, non sta tanto (o quanto meno non sol) nel togliere il numero chiuso a Medicina o il tetto di spesa per il personale. Per colmare la carenza di medici strutturati negli ospedali, occorre garantire loro condizioni di lavoro migliori, valorizzando le competenze e anche ottimizzando i percorsi assistenziali. Se ne è parlato nella seconda puntata 2023 di SaniTalk con Paolo Petralia (Fiaso), Pierino Di Silverio (Anaao), Paola Anello (Anmdo) e Eleonora Di Giulio (Federsanità).
La carenza di professionisti è uno dei tanti problemi sedimentati negli ultimi anni e che periodicamente trova ampia eco mediatica. Nelle ultime settimane il fenomeno dei cosiddetti “medici a gettone” (che anche le sezioni regionali della Corte dei Conti hanno iniziato a evidenziare con preoccupazione) ha rilanciato il problema che affonda le sue radici in problematiche più ampie, tante volte citate ma mai realmente risolte, come il tetto di spesa per il personale fermo al 2004, la poca attrattività dell’impiego “fisso” in ospedale, il numero delle borse di specializzazione. Reparti di frontiera come i Pronto Soccorso sono i primi a soffrirne, ma se da un lato l’impiego di risorse esterne è dichiaratamente antieconomico, dall’altro il servizio pubblico deve comunque garantire le prestazioni. Ecco, dunque, se si fanno sempre più strada le cooperative e i medici “a gettone”, in una prospettiva, viene denunciato, di progressiva e distorta privatizzazione della sanità pubblica.
Di tutto questo si è parlato nel corso dell’ultima puntata di SaniTalk, il progetto realizzato da Sics Editore con il supporto di Alfasigma. Il confronto, condotta da Corrado De Rossi Re, ha visto protagonisti Paolo Petralia, vice presidente vicario della Fiaso; Paola Anello, segretario nazionale per la tutela legale e sindacale dell’Anmdo; Pierino Di Silverio, segretario nazionale dell’Anaao Assomed; Eleonora Di Giulio, direttore amministrativo della Asl di Frosinone e membro Federsanità.
Ad aprire il confronto è stato il segretario nazionale dell’Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, che ha voluto subito chiarire come stanno le cose: “La chiamiamo carenza dei medici ma non è affatto carenza di medici: è carenza di medici nel Ssn. È importante comprendere questa differenza perché per trovare una soluzione bisogna anzitutto capire il problema. I medici ci sono, ma non vogliono un contratto con le strutture pubbliche del Ssn. Questo accade soprattutto con specialisti in alcune branche, che sono le più complesse ed esposte a responsabilità”.
Già questi due elementi, secondo Di Silverio, “dovrebbero aiutare a capire quali possono essere le misure da mettere in atto per contrastare il fenomeno dei medici a gettone. Mi riferisco a misure che devono puntare a rendere il lavoro in ospedale più appetibile e a riconsegnare il Ssn a chi ci lavora e non alla politica. Perché quando è la politica a gestisce la salute – ha detto il segretario nazionale Anaao Assomed – si rischia di trasformare la salute in qualcosa di ideologico. Ma la salute non è ideologia, è un bene pubblico, un diritto costituzionale che va salvaguardato in tutte le sue manifestazioni”.
Un’analisi lucida e senza sconti, condivisa anche da Paolo Petralia: “Abbiamo la diagnosi, ora dobbiamo cercare la terapia, che non può ridursi evidentemente alla semplice assunzione di una unica cura, ma deve consistere in un articolato sistema di cure”. La problematica, infatti, secondo Petralia, riguarda il sistema nel suo insieme: “Le regole, le risorse e le organizzazioni, che così come sono oggi, creano le condizioni per lo sviluppo delle criticità. Credo tuttavia – ha sottolineato il vice presidente vicario della Fiaso – che il problema non riguardi solo l’ospedale, perché è evidente che la situazione all’interno delle strutture diventa tanto peggiore quanto minore è la capacità del sistema territoriale di farsi carico dei pazienti, nella fase che precede il ricorso all’ospedale e in quella che lo segue”.
Per Petralia, serve allora uno sguardo “ampio” e sinergia tra “dirigenti e medici, ma anche con tutte le altre figure che in qualche modo rappresentano le cinghie di trasmissione del sistema. Dobbiamo costruire politiche di comunità, che significa coinvolgere i decisori a tutti i livelli, i professionisti, ma anche il volontariato e le associazioni”.
Eleonora Di Giulio ha quindi portato la sua esperienza, che è quella di chi ogni giorno deve trovare il modo di garantire le prestazioni e quindi offrire una soluzione, per quanto momentanea, alla carenza di medici. “Le direzioni strategiche delle aziende fanno tutto ciò che è nelle loro possibilità per tamponare l’emergenza, ma è chiaro che non avranno mai, da sole, la possibilità di risolvere la questione”. “Nel tempo – ha raccontato il direttore amministrativo dell’Asl di Frosinone – i ho parlato con alcuni medici a gettone cercando di convincerli, in tutti i modi leciti a nostra disposizione, a partecipare ai concorsi ma ho sempre ricevuto un rifiuto proprio a causa della scarsa attrattività del Ssn legata, in particolare, ai turni massacranti, alle basse retribuzioni rispetto a quanto è possibile guadagnare facendo il medico a gettone, e alle enormi responsabilità in più che ha chi è strutturato nel sistema”. Per questo anche per Di Giulio la parola chiave è rendere il Ssn più attrattivo, “ed è evidente che per farlo servono più interventi ad ampio spettro, strutturali e istituzionali”.
La carenza di medici, per Paola Anello, “ha origini antiche, quanto meno decennali, che riguardano anzitutto una insufficiente programmazione di ingressi a livello universitario. Fino a poco tempo fa si parlava di imbuto formativo, a cui ora si è data risposta attraverso il recente incremento delle borse di studio. Sappiamo tuttavia – ha evidenziato il segretario nazionale per la tutela legale e sindacale dell’Anmdo – che circa il 20% delle borse stanziate non sono assegnate e vengono abbandonate, quota che sale al 60% per il corso di specializzazione in emergenza-urgenza. È evidente, quindi, che aumentare il numero di potenziali medici non basta, se non si cambiano le condizioni che non rendono quelle specialità attrattive”.
Per Anello, tra le misure da mettere in campo, “la valorizzazione del ruolo e delle competenze, il miglioramento delle condizioni di lavoro ed economiche, la garanzia di un equilibrio tra lavoro e vita privata, questione prioritaria se si considera che il 60% dei medici è donna, a cui quindi va garantito il diritto alla maternità e alla conciliazione vita-lavoro”.
“L’Osservatorio Fiaso sulle politiche del personale ha già provato a mettere nero su bianco una serie di proposte”, ha spiegato Paolo Petralia. Queste riguardano, in particolare, “l’abolizione del tetto di spesa sul personale; la necessità di mettere in campo incentivi e indennità in linea con le competenze; la capacità di coinvolgere i liberi professionisti all’interno dei PS. Professionisti che forse avranno competenze più basse di quelle che è possibile acquisire lavorando sul campo secondo i percorsi standard ma che, come accaduto in fase pandemia, potranno contribuire a sostenere un situazione che da sola non può più reggere”. Si tratta, ha precisato il vice presidente vicario della Fiaso, “di misure strutturali affiancate da altre emergenziali ma tutte accumunate da una convinzione di fondo: dobbiamo creare le condizioni perché negli operatori nasca il desiderio di lavorare nel Ssn”.
Nel corso del tempo, ha raccontato Eleonora Di Giulio, “abbiamo provato ogni strada percorribile per reclutare medici: concorsi pubblici, manifestazioni di interesse, scorrimento delle graduatori e mobilità, ma niente di tutto questo ha funzionato, costringendoci a ricorrere alle cooperative e a vivere in una situazione costantemente precaria ma che non può più definirsi emergenza, visto che è una situazione che si potrae da tantissimo tempo, anche se questi affidamenti avvengono ancora oggi senza una base cornice normativa. Questo – ha spiegato il direttore amministrativo della Asl di Frosinone – ci espone a responsabilità enormi, tuttavia, come diceva un mio maestro, preferisco rischiare di avere a che fare con un giudice contabile per un danno erariale piuttosto che avere a che fare con un giudice penale per avere interrotto un servizio essenziale come quello della salute”. Nella necessità di fare fronte all’attuale situazione, Di Giulio ha quindi lanciato un appello per “un intervento Statale che consenta alla direzione strategia aziendale di operare in una chiara cornice amministrativa”.
“Il ricorso alle cooperative – ha concordato Paola Anello – rappresenta a volte l’unica strada percorribile per cercare di erogare il servizio. Non pensiamo però che questo non abbia ripercussioni anche sulla qualità dell’assistenza prestata, anzitutto perché i medici che vengono arruolati non sempre rispondono agli stessi requisiti formativi richiesti dal personale dipendente. Inoltre parliamo di persone che arrivano, svolgono un turno e se ne vanno; questo non solo non consente di avere la continuità assistenziale che spesso è possibile realizzare grazie al personale dipendente, ma non consente neanche l’ottimizzazione del lavoro, dal momento che i medici a gettone non conoscono i contesti e i percorsi clinico organizzativo di quello specifico ospedale. Inoltre, il fatto che il costo delle loro prestazioni sia cosi alto non solo mina la stabilità economica del Ssn, ma crea una crepa tra il sistema e il personale dipendente, che si sente svalutato”.
Tra le misure da mettere in campo per contrastare l’abbandono del sistema pubblico, Paola Anello ha citato la necessità di garantire la sicurezza del personale, “perché conosciamo bene quanto diffuso sia il rischio del personale sanitario di subire aggressioni”.
A tirare le somme del confronto Pierino Di Silverio, secondo il quale tutte le osservazioni fatte e le proposte avanzate nel corso della puntata di Sanitask possano essere ricondotte a una sola cosa: percorso di cura. “Le criticità di un sistema come quello della salute non si risolvono analizzando le questioni come fossero compartimenti stagni e intervenendo sui problemi secondo un modello a silos. La risposta giusta a tutto ciò che riguarda il Ssn può essere solo la realizzazione del corretto percorso di cura. Perché la cura non è un atto unico, una istantanea che si scatta in ospedale o sul territorio. Il percorso di cura riguarda la presa in carico globale del paziente, che si realizza sul territorio e in ospedale, articolazioni di un unico un ecosistema. Per questo credo sia sbagliato parlare di DM77 senza avere messo mano al DM70. Per questo il Pnrr rischia di creare contenitori vuoti, che non porteranno soluzioni ai problemi né benefici ai cittadini”.
Sul fronte strettamente medico, per il segretario Anaao Assomed occorre elimintare la diversificazione dei rapporti di lavoro dei medici, “una battaglia che l’Anaao conduce da ben prima del Covid”. Per Di Silverio “l’unica cornice possibile per il lavoro medico è il contratto collettivo nazionale di lavoro, a cui dovrebbero essere ricondotti anche i contratti dei medici che lavorano nelle strutture accreditate, perché se le strutture accreditate sono un pilastro del sistema, allora devono seguire le stesse regole del sistema, e ai loro medici devono spettare gli stessi diritti e gli stessi doveri di chi lavora nelle strutture pubbliche”.
Migliorare le condizioni di lavoro dei medici vuol dire inoltre, per il segretario Anaao Assomed, che “se io faccio il chirurgo non posso essere spedito con un ordine di servizio a fare il dermatologo e viceversa”. E poi conciliazione vita-lavoro, certamente, oltre a stipendi più alti, “visto che siamo penultimi in Europa nella classifica delle retribuzioni”.
Per Di Silverio c’è poi il tema della depenalizzazione dell’atto medico e di un percorso che “restituisca dignità al medico e lo valorizzi come fulcro dell’atto di cura da realizzarsi all’interno di un percorso nuovo, perché è evidente le condizioni di lavoro non potranno mai migliorare se la cornice normativa e organizzativa in cui si svolge continua ad essere inadeguata”.
di Lucia Conti