Gli effetti della Brexit si fanno sentire con impatti non solo sull’economia in generale, ma anche nel settore dell’industria life-sciences. Le conseguenze sul breve termine, legate al crollo della sterlina (il più pesante degli ultimi 30 anni, secondo S&P), potrebbero portare alla perdita della tripla AAA per il Regno Unito.
La Scozia, che due anni fa promosse un referendum per staccarsi dal Regno Unito – perso con un risultato di 55 su 45 – sta ora considerando la possibilità di rimanere nella UE. Stessa direzione sembra intraprendere l’Irlanda del Nord. Per il futuro del’industria life-sciences sarà necessario attendere le evoluzioni. Secondo Steven Bates, CEO del gruppo biotech BIA (BioIndustry Association), la “Brexit potrebbe generare confusione sulla regolamentazione dei farmaci e avere un impatto anche sui flussi di venture capital dentro e fuori l’Europa”. Obiettivo della BIA sarà quello di assicurare che il settore life-sciences rappresenti il miglior affare generato dalla Brexit, anche se Bates stesso ha dichiarato che “il voto della Brexit non era ciò che voleva l’Associazione”. Tra gli effetti sul lungo periodo ci sarà un impatto in termini di M&A, VC Funding e su possibili nuovi accordi futuri.
Biotech no good
Secondo alcuni analisti internazionali, mentre il rischio per le aziende americane resta basso, le previsioni parlano di scenari diversi e non positivi per il settore biotech. Bates nelle sue dichiarazioni è stato deciso nell’affermare che l’Inghilterra resterà un paese chiave per gli invesimenti, basandosi anche su quanto scritto dall’investor Neil Woodford in tema di visioni future sull’economia inglese legate all’uscita dalla UE. Spiegando che “questi sono scenari che si verificano in un contesto di economia globale”, Bates ha comunque sottolineato alcuni punti sui quali “sarà necessario fare valutazioni approfondite”. Tra questi c’è sicuramente la questione EMA che ad oggi ha la sua sede centrale a Londra. Si dovrà discutere inoltre sulle modalità in base alle quali organizzare il processo regolatorio dei farmaci una volta che il paese lascerà l’Unione e anche sul sistema di proprietà intellettuale.
Nonostante tutto, secondo Bates è poco realistico lo scenario che vedrà la fuga delle biotech dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti o nell’indice di borsa del Nasdaq. “Nel Regno Unito – spiega Bates – esistono public & private companies ben finanziate che non necessitano di extra fondi per svilupparsi e crescere”.
Paura “effetto domino”
La Banca d’Inghilterra, che ha reagito male alla decisione popolare, si è subito mossa per cercare di calmare il mercato spiegando che “compirà tutti gli step necessari” per assicurare la stabilità finanziaria nel Regno Unito, a seguito del voto del Referendum.
Per quanto riguarda l’Europa, il rischio che spaventa maggiormente è l’effetto domino che potrebbe riguardare altri Stati membri dell’Unione che, negli anni, si sono detti in contrasto con la politica comunitaria. Il futuro della Ue potrebbe essere in bilico e sensibile in base a ciò che accadrà nei prossimi mesi. Ad oggi il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, ha dichiarato che l’obiettivo è quello di mantenere l’Unione a 27, anche se la questione degli effetti della Brexit sui mercati resta un tema preoccupante. Non ci sono precedenti e mancano le risposte a molte domande. Uno scenario d’incertezza che mal si sposa con le caratteristiche dell’industria biotech.
L’Associazione delle aziende farmaceutiche britanniche (ABPI) ha pubblicato una dichiarazione nella quale enuncia le difficoltà da fronteggiare: “La volontà del popolo è stata chiara. Ciò creerà cambiamenti immediati sugli investimenti futuri. Siamo impegnati nell’offrire piena collaborazione al Governo per identificare quali passi sarà necessario compiere per affermare che il Regno Unito è un paese aperto al mercato”. Infatti, alcune Big Pharma potrebbero già risentire nel breve termine di un impatto sui risultati, come spiegato da JP Morgan, che ha parlato del gruppo GSK o di AstraZeneca, soprattutto in base al crollo della sterlina. Una situazione che favorirà l’export e quindi le BigPharma; non è il caso invece delle industrie biotech che in pratica non hanno nulla da esportare e basano il proprio business sui fondi del Venture Capital e per la ricerca. Per loro il tema caldo sarà quello di capire se i propri finanziatori saranno disposti a correre un rischio in un contesto di incertezza.
Quali ripercussioni sul NHS?
A questo si aggiunge anche il tema della libertà di circolazione dei ricercatori in Europa post Brexit e dei progetti di ricerca messi in atto a livello europeo. Prende una posizione l’Associazione Europea per lo studio del Fegato (EASL) che ha dichiarato di essere consapevole che da oggi si pone un problema per centinaia di cittadini europei non inglesi, tra cui anche ricercatori e professionisti della salute, che prestano servizio nel Regno Unito e viceversa per i quali non esistono certezze su cosa accadrà. “Sebbene – scrive l’Associazione – sappiamo che entro i prossimi due anni saremo ancora nell’Unione, e che quindi il Regno Unito continuerà ad essere parte di importanti progetti tra cui Horizon 2020, non possiamo prevedere nulla di più”. Dal canto suo, il vice cancelliere dell’Università di Cambridge, Leszek Borysiewicz, ha spiegato, seppur esprimendo il suo disappunto per il risultato del Referendum, che il voto è stata espressione del 52% della popolazione e che quindi da oggi si lavorerà in stretta collaborazione con le Istituzioni per capire le complessità e identificare soluzioni.
Scenari non facili saranno anche quelli che dovrà affrontare il sistema sanitario nazionale inglese (NHS) sulla base della potenziale recessione che conseguirà alla Brexit. “Quando l’economia starnutisce, l’NHS si ammala” è stata la dichiarazione resa dal capo dell’NHS Simon Stevens.