Solo fino a vent’anni fa, la sopravvivenza dei pazienti affetti da mieloma multiplo era di circa tre anni e l’esito della malattia era inevitabilmente fatale. Nel corso degli ultimi due decenni però lo sviliuppo di farmaci innovativi non chemioterapici ha cambiato completamente le carte in tavola, dando una speranza di vita ben diversa ai pazienti che godono oggi di un fornito, sebbene non ancora sufficiente, armamentario terapeutico.
Il mieloma multiplo è un tumore dei linfociti B e delle plasmacellule (le cellule del sistema immunitario che producono le immunoglobuline). Il rapporto tra le cellule neoplastiche e le cellule del microambiente midollare, che fornisono al tumore il nutrimento per proliferare e crescere, rende il mieloma multiplo difficile da trattare e resistente ai chemioterapici, spiega in occasione di una conferenza stampa Michele Cavo, Ordinario di ematologia Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Bologna, Direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia dell’Università di Bologna. Il punto di forza delle nuove terapie sta proprio nel fatto che queste sono in grado di interferire con l’interazione tra le cellule tumorali e quelle del microambiente.
La svolta, nell’uso di farmaci innovativi, è avvenuta nel 1999, quando è stato dimostrato che i pazienti terminali potevano trarre beneficio dal trattamento con la talidomide, un immunomodulante. In seguito sono state sviluppate altre molecole della stessa classe di farmaci, come la lenalidomide e la pomalidomide.
La seconda classe di farmaci di interesse per i pazienti con mieloma multiplo, continua Cavo, è rappresentata dagli inibitori del proteasoma. Sono seguiti gli anticorpi monoclonali che hanno aperto la strada all’immunoterapia, poi sono stati sviluppati gli anticorpi bispecifici e le cellule Car-T. “Ora la prognosi del mieloma multiplo è cambiata: in alcuni casi si arriva alla guarigione, in altri a una cronicizzazione della malattia, con una sopravvivenza molto lunga”.
Belantamab mafodotin appartiene a una categoria ancora diversa, i coniugati anticorpo-farmaco, e rappresenta una delle ultime tappe, per ora, di questo percorso che porta allo sviluppo di trattamenti sempre più innovativi per il mieloma multiplo.
Il farmaco è costituito da una anticorpo monoclonale diretto contro la proteina BCMA – un recettore espresso sulla superficie delle plasmacellule mielomatose – e da un potente chemioterapico che viene indirizzato all’interno delle cellule tumorali provocandone la morte per apoptosi.
La terapia è attualmente disponibile in Italia, indicata per i pazienti che non hanno risposto ad almeno quattro linee terapeutiche. Rappresenta quindi l’ultima speranza di persone che altrimenti non avrebbero altre opzioni di trattamento.
Gli studi DREAMM
In pazienti con malattia refrattaria ad almeno un inibitore del proteasoma, un agente immunomodulatore e un anticorpo monoclonale anti-CD38 e che hanno dimostrato la progressione della malattia durante l’ultima terapia, belantamab mafodotin induce un tasso di risposta globale del 32%. “Circa il 20% dei pazienti (oltre il 50% di coloro che rispondono alla terapia), ottiene una riduzione della taglia neoplastica superiore al 90%”, continua Cavo, citando i risultati dello studio DREAMM-2. “La durata della risposta è mediamente di 11 mesi, la sopravvivenza mediana è di circa 14 mesi”.
Come sottolinea Sergio Amadori, Presidente AIL (Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma), il paziente affetto da mieloma multiplo in genere è anziano, con un età media di circa 65 anni. Quindi si tratta di un soggetto fragile, che soffre di tutte le comorbidità associate all’età, ma anche di quelle determinate dai farmaci, precisa Maria Sofia Rosati, Direttore medico oncoematologia GSK. “Terapia dopo terapia, il paziente accumula tossicità e allo stesso tempo la malattia evolve e porta con se un carico”. Per questo motivo gli studi DREAMM valutano anche l’impatto della malattia e del trattamento sulla funzionalità e sulla qualità della vita.
“Belantamab mafodotin è la prima terapia anti-BCMA disponibile in Italia ed è un’innovazione che parla italiano, perché viene prodotta nel nostro stabilimento GSK di San Polo di Torrile, in provincia di Parma, da dove viene esportata in tutto il mondo”, commenta Fabio Landazabal, Presidente e Amministratore delegato GSK.
Sono attualmente in corso degli studi che valutano l’efficacia di una combinazione tra belantamab mafodotin e altri agenti innovativi, inoltre si considera la possibilità di somministrare il farmaco sempre più precocemente. “Il programma di belantamab mafodotin è in espansione”, conclude Cavo, comunque la missione prioritaria per ora consiste nel cercare di salvare i pazienti che non hanno altre possibilità.
Ormai, conclude Amadori, “la strada della terapia di precisione è tracciata, l’unico modo per andare avanti è continuare a creare farmaci personalizzati che possano veramente cambiare il panorama delle patologie”.