I risultati aggiornati dello studio di Fase III HIMALAYA hanno mostrato che la combinazione di durvalumab di AstraZeneca associato ad una singola dose di tremelimumab ha prodotto un beneficio di sopravvivenza globale (OS) clinicamente significativo e sostenuto a quattro anni nel trattamento dei pazienti con carcinoma epatocellulare (HCC) non resecabile non trattati con precedente terapia sistemica e non eleggibili a un trattamento locoregionale.
Questi risultati sono stati presentati giovedì 29 giugno al World Congress on Gastrointestinal Cancer 2023 della Società Europea di Oncologia Medica (European Society for Medical Oncology – ESMO) a Barcellona.
Al follow-up a quattro anni, i dati mostrano che una singola dose priming di tremelimumab associata a durvalumab – il cosiddetto regime STRIDE (Single Tremelimumab Regular Interval Durvalumab) – ha ridotto il rischio di morte del 22% rispetto a sorafenib (rapporto di rischio [HR] 0,78; intervallo di confidenza 95% [CI 0,67-0,92; maturità dati 78%).
In base alle stime, il 25,2% dei pazienti trattati con il regime STRIDE era vivo a quattro anni rispetto al 15,1% di quelli trattati con sorafenib. Un’analisi esplorativa post-hoc ha mostrato che gli effetti del trattamento con il regime STRIDE rispetto a sorafenib si sono mantenuti in tutti i sottogruppi clinicamente rilevanti di pazienti vivi almeno dopo tre anni, indipendentemente dalla eziologia della malattia epatica sottostante (epatite B [HBV], epatite C [HCV] o non virale) o da altre caratteristiche demografiche di base.
“I dati di sopravvivenza a lungo termine dello studio HIMALAYA sono unici nel panorama dell’epatocarcinoma avanzato – afferma Lorenza Rimassa, Professore Associato di Oncologia Medica presso Humanitas University e IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano -. E’ importante osservare che un paziente su quattro trattato con il regime STRIDE, basato sulla duplice immunoterapia, è vivo a quattro anni. Nessun altro regime terapeutico ha dimostrato finora questi risultati. Se confrontato con i dati storici a disposizione, solo il 7% dei pazienti con tumore del fegato avanzato è vivo a cinque anni. STRIDE è basato su un innovativo approccio di ‘priming immunitario’ con una singola dose di tremelimumab seguita da durvalumab in monoterapia. Quest’unica somministrazione di tremelimumab, a un dosaggio superiore rispetto a quello tradizionale, è in grado di fornire una ‘spinta’ alla risposta immunitaria, offrendo contemporaneamente un miglioramento del profilo di sicurezza, e pertanto offrendo maggiore efficacia e tollerabilità. Il trattamento dell’epatocarcinoma è complesso perché bisogna trattare il tumore senza sottovalutare il fatto che il paziente molto spesso è affetto da un’altra patologia molto importante, l’epatopatia cronica. La gestione di due gravi patologie concomitanti richiede terapie tollerabili, che non peggiorino la funzionalità epatica residua”.
“Il notevole beneficio in termini di sopravvivenza a quattro anni dimostrato da durvalumab e tramelimumab in questo setting di tumore del fegato avanzato supporta l’utilizzo del regime STRIDE per il trattamento di un’ampia popolazione di pazienti eleggibili a livello globale – osserva Susan Galbraith, Vicepresidente Esecutivo, Oncology R&D, AstraZeneca – Questi ultimi risultati dello studio HIMALAYA fanno parte di una serie di studi clinici che hanno lo scopo di fornire trattamenti innovativi ai pazienti nei vari stadi del tumore del fegato”.
Nello studio HIMALAYA Il profilo di sicurezza del regime STRIDE è risultato coerente con i profili già noti di ogni farmaco, e non sono stati osservati nuovi segnali di sicurezza al follow-up prolungato. Eventi avversi legati al trattamento (TRAEs) gravi, di Grado 3 o 4 o morte, sono stati riportati dal 17,5% dei pazienti trattati con il regime STRIDE rispetto al 9,6% di quelli trattati con sorafenib, senza nuovi eventi dopo l’analisi primaria di STRIDE (17,5%).
La combinazione di durvalumab e tremelimumab è approvata per il trattamento dei pazienti adulti con HCC avanzato o non resecabile negli Stati Uniti, Unione Europea (nel setting di prima linea), Giappone e in numerosi altri Paesi. Durvalumab in monoterapia è inoltre approvato in Giappone in questo setting.