Dopo diversi fallimenti a livello sperimentale nel trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule e del tumore della tiroide, l’inibitore MEK 1 / 2 selumetinib, di AstraZeneca, potrebbe prendersi una rivincita.
Un team di ricercatori dell’azienda inglese, collaborando con scienziati del Barbraham Institute, nel Regno Unito, ha infatti scoperto perché il medicinale va incontro a resistenza e soprattutto che sospendere la sua somministrazione potrebbe potenziarne l’attività quando viene somministrato successivamente. Un meccanismo che potrebbe essere comune anche con altri inibitori MEK.
I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Communications.
Selumetinib inibisce la via del signaling RAS-BRAF-MEK-ERK, che facilita la crescita e la divisione delle cellule tumorali.
Per lo studio, i ricercatori hanno esposto le cellule del cancro al colon a seleumetinib per diverse settimane, dopo le quali le cellule diventavano resistenti al trattamento per amplificazione del gene BRAF.
Questo, a sua volta, permetteva alle cellule di mantenere segnali di crescita, ma una volta che il farmaco veniva sospeso, BRAF non veniva più amplificato, attivando di fatto un percorso che induceva le cellule tumorali a invecchiare rapidamente e smettere di crescere.
Queste stesse cellule diventavano poi sensibili a un secondo attacco da parte farmaco.
Secondo i ricercatori, dunque, queste ricerche potrebbero trovare applicazione nel melanoma e in altri tumori. E la scoperta che sospendere il farmaco provoca la morte delle cellule tumorali potrebbe cambiare il modo in cui gli inibitori MEK e altri farmaci che colpiscono questa via vengono usati nel trattamento contro i tumori.