Senza farmaci equivalenti e biosimilari la spesa farmaceutica sarebbe più alta di 4 miliardi. È questa la conclusione cui sono giunti gli esperti riuniti in occasione dell’assemblea pubblica di Assogenerici, che ha celebrato i 20 anni dalla loro introduzione in Italia. Secondo un rapporto di Ims Health, tra il 2010 e il 2015 il prezzo medio dei farmaci con obbligo di prescrizione sul canale farmacia è diminuito del 15%, passando da 11 a 9,5 euro a confezione. Nonostante i vantaggi ci sono ancora molte differenze regionali sulle percentuali di adozione, con la Campania fanalino di coda e la provincia di Trento che è al primo posto, separate di 15 punti percentuali. In totale nel 2015 i pazienti hanno speso 980 milioni di euro per coprire la differenza di prezzo tra medicinale a brevetto scaduto e prezzo di riferimento. Il settore, ha sottolineato il presidente di Assogenerici Enrique Hausermann, continuerà a generare risparmi anche nel futuro, con le molecole che perderanno il brevetto tra il 2017 e il 2020 che potenzialmente faranno risparmiare 3,7 miliardi di euro. “Se nel nostro paese si è riusciti nel tempo a sostenere la spesa farmaceutica e a permettere l’adozione progressiva dell’innovazione – ha affermato – lo si deve alla presenza di un settore, quello dei farmaci equivalenti e biosimilari, dinamico e competitivo”.
Ma in ospedale no
Nonostante queste evidenze favorevoli, i farmaci generici stentano a decollare negli ospedali. La quota di impiego si attesta al 22,4% del totale di quelli a brevetto scaduto. “I farmaci non più coperti da brevetto rappresentano nel 2015 il 27% delle dosi consumate – si legge nel rapporto Nomisma – ma a livello di valore incidono solo per il 2,1% della spesa, riflettendo sia l’enorme divario di prezzo con i farmaci innovativi, sia la costante pressione sui prezzi alla quale i farmaci a brevetto scaduto sono sottoposti tramite le procedure di gara ospedaliere”. Proprio la pressione sui prezzi, ha rivelato il rapporto, ha portato ad un aumento del numero di gare che vanno deserte, ormai un quarto del totale (il 27% nel 2015), con un rischio sempre maggiore dell’interruzione delle forniture. Dal rapporto risulta in crescita, ma sempre bassa, la quota di generici nei farmaci di fascia C, arrivata al 7,8% del valore. Risulta stabile da tre anni, al 29%, la quota nel mercato dei farmaci di classe A, quelli rimborsabili. La situazione, ha evidenziato un rapporto di Ims Health presentato sempre alla conferenza, vede forti differenze regionali, con il paradosso che le regioni in piano di rientro sono quelle con le percentuali più basse. “Fra la Campania e la Provincia di Trento o la Lombardia – hanno spiegato gli esperti di Ims – nonostante la differenza di Pil pro capite, c’è un 50% di differenza nell’utilizzo dei generici a favore delle seconde”.