In Italia il tempo medio tra l’autorizzazione all’immissione in commercio e la pubblicazione del provvedimento di rimborsabilità e prezzo di un farmaco è di 418 giorni (comunque meglio di Spagna e Francia, che viaggiano intorno ai 500 giorni). Ma le difficoltà di accesso ai farmaci non si azzerano neanche quando parliamo di accesso ai farmaci orfani per il trattamento di malattie rare o di farmaci che rappresentano una speranza di vita in attesa della commercializzazione. Lo denunciano i pazienti, ma lo dimostra anche il fatto che, nel 2017, siano stati spesi “solo” 13,5 milioni degli oltre 18 disponibili nel “Fondo 5%” dell’Aifa costituito proprio per consentire l’impiego di farmaci orfani. La causa risiede, probabilmente, anche nella complessità delle procedure. Sono alcuni degli aspetti di cui si è parlato ieri nella puntata di Camerae Sanitatis, il format editoriale multimediale nato dalla collaborazione tra l’Intergruppo parlamentare Scienza & Salute e SICS editore, dedicata proprio all’ accesso ai farmaci in Italia.
Un confronto ricco di proposte e riflessioni, scaturite dagli interventi di Angela Ianaro, presidente dell’Intergruppo parlamentare Scienza & Salute; Luca Rizzo Nervo (PD), componente della commissione Affari Sociali della Camera; Giovanni Apolone, Direttore scientifico Fondazione Irccs Istituto nazionale dei Tumori di Milano; Enrico Costa, Capo Dipartimento Affari Internazionali di Aifa e Membro del Comitato per i medicinali orfani (Comp) di Ema, Francesco De Lorenzo, presidente Favo-Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia; Claudio Jommi, professore di Practice in Health Policy presso la SDA Bocconi School of Management; Gaetano Guglielmi, Direzione generale della ricerca e dell’innovazione e in sanità del Ministero della Salute; Annalisa Scopinaro, presidente Uniamo-Federazione delle associazioni personale con malattie rare Italia; Francesca Patarnello, VP Market Access & Government Affairs AstraZeneca; Nicola Panzeri, Regulatory Affairs Lead Roche.
La difficoltà di accesso ai farmaci è evidentemente una criticità molto sentita dai pazienti. Quelli colpiti da patologie più lievi o croniche, e forse ancora di più da quelli che soffrono di una patologia rara o gravemente invalidante. O da quelle persone per le quali ogni giorno passato senza una terapia significa una riduzione delle possibilità di sopravvivenza.
Se l’accesso ai farmaci è quindi un diritto fondamentale, per i pazienti, è tuttavia anche vero che “si tratta di un sistema complesso”, dunque non semplice da realizzare o da modificare, come ha evidenziato Enrico Costa. “La costante ricerca di un accesso sempre più precoce ai farmaci può esporre a rischi che le agenzie regolatorie non possono permettersi di correre. Pensiamo all’autorizzazione di un farmaco che non ha ancora dimostrato pienamente la sua efficacia o, peggio ancora, potenzialmente dannoso per il paziente. Per questo la richiesta di accelerare i tempi non deve trasformarsi in una forzatura inopportuna delle regole”, ha spiegato Costa.
Costa ha sottolineato anche il fatto che se l’approvazione da parte dell’Ema può risultare tutto sommato rapida, in quanto basata sull’efficacia e la sicurezza dimostrata dal farmaco durante gli studi registrativi, l’iter si fa più complesso quando si tratta di negoziare il prezzo all’interno del sistema sanitario di un Paese: “Va raggiunto un accordo tra le parti e questo non è sempre è cosa semplice. Da parte di Aifa c’è la massima attenzione a rendere i farmaci disponibili nel migliore tempo possibile”. Questo perché, secondo Costa, la ricetta per ridurre i tempi di attesa per l’accesso ai farmaci “non è inventare procedure ad hoc o nuove, ma lavorare seriamente nell’ambito delle procedure esistenti, con un maggiore impegno soprattutto su quelle che sono le diversità e le iniquità sul territorio”. L’esperto ha comunque fatto sapere che è in corso, all’interno dell’Aifa, una discussione sulla possibilità di istituire una commissione unica che accorpi le due, attualmente distinte, “Tecnico scientifica” (CTS) e “Prezzi e rimborsi” (CPR).
Per gli altri protagonisti del confronto sono molte le azioni da poter mettere in campo per migliorare l’accesso ai farmaci. A partire, secondo Gaetano Guglielmi, “dall’avvio di un rapporto di stretta collaborazione tra il mondo industriale e quello accademico”. Questo anche considerato “le caratteristiche dell’industria sul territorio nazionale, rappresentata da piccole e medie imprese, seppure con grandi capacità, come dimostra la grande attenzione di cui gode la ricerca italiana a livello internazionale”. Per Gugliemi, peraltro, “la collaborazione con gli Atenei potrebbe aiutare l’industria soprattutto sul fronte dei finanziamenti. Successivamente, il contributo dato alla ricerca andrebbe poi considerato al momento della definizione del prezzo”.
Secondo Claudio Jommi, l’Italia, oltre ad avere tempi di accesso alla lista di rimborsabilità inferiori alla maggior parte dei Paesi Europei e superiori, tra i maggiori, a Germania (in cui di fatto i farmaci hanno rimborsabilità immediata all’approvazione del prodotto) e Inghilterra (che però presenta una minore incidenza di farmaci/indicazioni rimborsate), ha attivato diversi programmi di accesso precoce, inteso come accesso prima dell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio o, in alcuni casi, fino a disponibilità del farmaco, finanziati dal SSN (648 e farmaci ad uso consolidato) o dall’SSN attraverso un finanziamento dell’industria (Fondo 5%), oltre ad uso compassionevole. Il vantaggio di questi programmi è il fatto stesso di essere stati attivati, consentendo appunto un accesso ‘early’, e la possibilità di raccogliere dati ‘real life’ ad ulteriore consolidamento delle evidenze sperimentali. Le principali criticità sono rappresentate da un parziale snaturamento del loro impianto originario (si pensi all’uso economico della 648), la frammentazione e a volte le difficoltà operative generate, l’incertezza delle risorse messe a disposizione dei programmi e la limitata disponibilità di dati sul loro impatto, anche economico. Non è quindi opportuno cancellare tutto quello che è stato fatto ma potrebbe essere utile riformarlo. In questa direzione l’esperienza francese dell’ATU (Autorisation Temporaire d’Utilisation), riformata nel 2021 (Accès précoce) può fornire spunti di interesse per diversi motivi: individua requisiti di applicabilità all’accesso precoce specifici con riferimento sia alla indisponibilità di valide alternative terapeutiche sia alla presunzione di innovatività del farmaco oggetto di accesso precoce (che in Italia si applicano per la valutazione di innovatività in fase negoziale); prevede una durata specifica (massimo 2 anni) per evitare che il programma di accesso precoce sia usato per allungare i tempi di accesso; prevede un protocollo di raccolta dati, per produrre evidenze utili alla successiva negoziazione; introduce meccanismi di salvaguardia finanziaria, considerano che in fase di accesso precoce il prezzo è liberamente determinato dalle imprese (sconti in caso di superamento di tetti di spesa predeterminati e clawback retrospettivo in caso di prezzo successivamente negoziato inferiore a quello determinato dall’impresa stessa).
A richiamare il modello francese è stata anche Francesca Patarnello che lo definisce “una risposta più strutturata di quella disponibile in altri Paesi, compresa l’Italia, a un problema comune a tutta Europa”. Per Patarnello è rilevante trovare una soluzione in quanto il tempo tra l’autorizzazione europea e la rimborsabilità è significativo, soprattutto se messo in relazione con patologie severe con alta mortalità dove i pazienti non possono aspettare la rimborsabilità. È questo l’ambito in cui cercare soluzioni immediate. “La Francia – ha detto Patarnello – ha scelto una strada per identificare quali sono le patologie o le condizioni a cui è necessario dare risposta più accelerata e ha definito anche alcuni criteri per far funzionare questo sistema”.
Patarnello ha poi posto l’accento sulla necessità di adottare un sistema in grado di “limitare il più possibile le differenze. Perché oggi, un sistema così frammentato, composto da varie liste e fondi, crea inevitabilmente disomogeneità molto forti nei tempi di accesso tra cittadini, territori e strutture”. Patarnello ha quindi sollecitato un costante confronto tra tutte le parti coinvolte, condizione essenziale per raggiungere il migliore risultato soprattutto in problemi così complessi come quello dell’accesso ai farmaci.
Per Nicola Panzeri, “a livello europeo abbiamo già la dimostrazione di quanto la collaborazione tra azienda e agenzia regolatoria possa accelerare le procedure di autorizzazione di un farmaco (basti pensare allo schema PRIME, all’Adaptive Pathway o al Protocol Assistance)”. Per Panzeri c’è però anche spazio per ulteriori passi avanti: “Anche l’uso compassionevole dei farmaci potrebbe essere gestito a livello centrale da EMA, piuttosto che lasciare che sia declinato nei 27 Paesi europei attraverso singole leggi che inevitabilmente impattano sull’accesso precoce dei farmaci creando una forte disomogeneità”. Il primo passo in questa direzione potrebbe essere, per Panzeri, l’identificazione di quei farmaci che per caratteristiche e valore terapeutico aggiunto rappresentano un’opportunità importante per i pazienti. Questo monitoraggio è possibile attraverso un attento Horizon Scanning e il costante early dialogue tra azienda e agenzia regolatoria.
Secondo Panzeri, inoltre, uno degli aspetti più importanti che possono valorizzare l’early access è l’istituzione di registri AIFA pre-autorizzativi per la raccolta di dati di real life. Questi dati, se resi disponibili e pubblicati potrebbero dare un valore aggiunto al processo negoziale confermando l’unmet need, il valore terapeutico aggiunto e supportare la valutazione di innovatività.
Giovanni Apolone ha quindi auspicato un impegno in due direzioni: “Uno per ottimizzare i percorsi regolari per la maggior parte dei farmaci e l’altro per identificare al meglio quali siano le condizioni prioritarie che consentano a certe classi di pazienti di entrare in percorsi speciali e precoci”. Per il direttore scientifico dell’Int di Milano “serve un approccio più sistematico, che tenga conto, ad esempio in ambito oncologico, che sempre più frequentemente, da parte delle Agenzie internazionali, si assiste ad approvazioni di farmaci che si basano su studi sempre più ‘ingegnerizzati’, che consentono di produrre delle evidenze che suggeriscono un’efficacia in tempi sempre più rapidi. Questa è la richiesta dei pazienti e della società civile. Ma si tratta di approvazioni effettuate su dati preliminari, condizionate all’esecuzione di successivi studi”. Questo, ha evidenziato Apolone, “espone le Agenzie regolatore a una oggettiva difficoltà a identificare il valore aggiunto di questi farmaci”.
Da qui il bisogno di sistematizzare le procedure sulla base delle nuove realtà note.
La discussione è quindi proseguita con l’illustrazione del testo del Ddl approvato alla Camera, e ora all’esame del Senato, contenente “Disposizioni per la cura delle malattie rare e per il sostegno della ricerca e della produzione dei farmaci orfani”. “Il lavoro che è stato fatto – ha spiegato Luca Rizzo Nervo – è stato importante per affrontare, in un unico testo di legge, i diversi aspetti che risultano fondamentali per i pazienti. Tra questi, la necessità di garantire la continuità terapeutica, preferibilmente nel contesto di vita, e la necessità di dare una forte spinta alla ricerca, anche con dei meccanismi di incentivo fiscale”. “Un paese che investe sulle malattie rare è un Paese che punta davvero all’universalità di accesso alle cure”, ha osservato il deputato Dem.
Un provvedimento, quello in discussione al Senato, che raccoglie il favore dei rappresentanti delle associazioni dei pazienti. “Le iniziative contenute nel nuovo testo unico di legge sono ottime”, ha detto Annalisa Scopinaro, che ha parlato di “elementi fondamentali che consentiranno anche di ridurre le differenze tra Regioni”. Infatti, ha tenuto a sottolineare la presidente Uniamo, “quando l’Aifa approva nuove terapie, l’accesso ai farmaci non risulta comunque garantito. Serve un passaggio da parte delle Regioni. E poiché le regioni viaggiano a velocità molto diverse, in alcuni casi la differenza tra i tempi di aggiornamento dei prontuari farmaceutici tra una Regione a un’altra può raggiungere anche i 9 mesi”.
Il presidente della Favo, Francesco De Lorenzo, ha quindi voluto anche sottolineare il grande passo compiuto in Europa con il Piano di azione per la lotta contro il cancro. “Bisogna cogliere l’occasione lanciata dall’Europa, che chiede di dare priorità per ai malati di cancro per assicurare un accesso veloce ai farmaci”. De Lorenzo ha parlato di “un diritto negato”, perché è in gioco la vita dei malati di cancro. Per il presidente Favo va, dunque, “superata la normativa esistente, ispirandosi all’approccio europeo di valutazione accelerata dei farmaci, sburocratizzando e riducendo concretamente i tempi di accesso ai farmaci in Italia una volta ricevuta l’autorizzazione europea”.
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