Ivosidenib, un nuovo trattamento orale a bersaglio molecolare, inibitore selettivo dell’enzima Isocitrato Deidrogenasi 1 (IDH1), è ora disponibile anche in Italia. Le mutazioni del gene che codifica per IDH1 sono coinvolte nello sviluppo di diversi tipi di tumore. Il farmaco in questione è stato approvato per due neoplasie differenti: in monoterapia, nei pazienti adulti con colangiocarcinoma localmente avanzato o metastatico con mutazione IDH1, precedentemente trattati con almeno una linea di terapia sistemica; e in associazione con azacitidina, nei pazienti adulti con nuova diagnosi di leucemia mieloide acuta con una mutazione IDH1 che non sono idonei per la chemioterapia di induzione standard.
Con questa doppia indicazione ivosidenib rappresenta l’emblema delle terapie di precisione: farmaci che agiscono non su un tumore identificato in base a sede e istologia ma sui tumori caratterizzati da determinate alterazioni molecolari.
Il colangiocarcinoma: un tumore raro ma sempre più frequente
Il colangiocarccinoma è un tumore raro, rappresenta il 3% dei tumori del tratto gastroenterico, ma la sua incidenza è in aumento in molti Paesi, tra cui l’Italia, nota Lorenza Rimassa, Professore Associato di Oncologia Medica presso Humanitas University e IRCCS Humanitas Research Hospital.
Si tratta di un tumore difficile da diagnosticare, in quanto non è associato a segni e sintomi, soprattutto nelle forme intraepatiche. “I pazienti possono presentare malessere, dolori addominali, nausea e perdita di peso. Il sintomo eclatante presente nelle forme extraepatiche è l’ittero, ma nelle forme intraepatiche compare solo nelle fasi avanzate. Per questo motivo, fino al 70% dei pazienti riceve una diagnosi quando il tumore è ormai in fase avanzata e l’opzione chirurgica, che è l’unica opzione curativa, non è più praticabile”. Risulta quindi particolarmente importante avere a disposizione delle terapie farmacologiche efficaci.
La diagnosi viene fatta attraverso TAC addominale, in alcuni casi risonanza magnetica, e viene confermata attraverso una biopsia del fegato. “Una volta accertata la presenza di malattia è necessario eseguire una profilazione molecolare del tumore, per scoprire quali sono le caratteristiche molecolari di quella specifica neoplasia”, precisa Rimassa.
Il 40% dei pazienti possono essere trattati con terapie di precisione
Attualmente il trattamento di prima linea, che viene somministrato a tutti i pazienti, consiste in una combinazione di chemio e immunoterapia. La strategia terapeutica in seguito a questo primo approccio dipende poi dalle alterazioni molecolari del tumore. “Se il tumore non presenta mutazioni genetiche su cui possiamo intervenire con le terapie attualmente disponibili proseguiremo con chemio e immunoterapia”, continua l’esperta. “Circa il 40% dei pazienti affetti da colangiocarcinoma intraepatico presenta delle mutazioni che possono essere prese di mira da un farmaco. Le alterazione di IDH1 sono le più frequenti, presenti in circa il 15-20% dei pazienti, e causano proliferazione incondizionata delle cellule”.
Lo studio ClarIDHy
Ivosidenib blocca la proliferazione di queste cellule e ripristina la normale funzione di IDH1. La sua efficacia è stata dimostrata dallo studio di fase 3 ClarIDHy, in cui il farmaco è stato confrontato con il placebo in pazienti con mutazioni di IDH1 che avevano già fallito una o due linee terapeutiche.
In un articolo sui dati del ClarIDHy pubblicato nel 2020 sulla rivista The Lancet Oncology è stata riportata una sopravvivenza libera da progressione per il farmaco di quasi due volte superiore rispetto al placebo (2,7 mesi vs 1,4 mesi). “Questo era l’endpoint primario, ed è stato raggiunto. È stata poi analizzata la sopravvivenza globale (OS), anche considerando il crossover dei pazienti sotto placebo che, in caso di peggioramento della malattia, hanno ricevuto il farmaco”. L’OS aggiustata era di 5,1 mesi per il placebo e di 10,3 mesi con ivosidenib, come riportato in una pubblicazione di JAMA Oncology del 2021.
“Gli eventi avversi associati al farmaco sono soprattutto di tipo gastroenterico. L’unico evento avverso – raro – da attenzionare è il prolungamento del tratto QT, per cui nei primi mesi è opportuno monitorare l’elettrocardiogramma del paziente una volta alla settimana”.
Una risposta per i pazienti con LMA che non tollerano la chemioterapia
La seconda indicazione per cui il farmaco è ora disponibile in Italia è un tumore del sangue, la leucemia mieloide acuta (LMA), una patologia che colpisce prevalentemente la popolazione anziana, con un’età mediana alla diagnosi di 68 anni. In Italia ha un’incidenza pari a 3,5 casi ogni 100.000 individui all’anno quindi oltre 2.000 nuovi casi annui. Nonostante i progressi nella gestione della patologia, il tasso di sopravvivenza a 5 anni rimane basso, attestandosi al 24%. La malattia viene trattata principalmente con chemioterapia e trapianto di cellule staminali ematopoietiche, nota Adriano Venditti, Direttore dell’Ematologia presso la Fondazione Policlinico Tor Vergata di Roma. “C’è una popolazione di pazienti però che – anche in considerazione dell’età mediana di insorgenza della malattia e quindi dell’alta probabilità di soffrire di patologie respiratorie e cardiovascolari concomitanti – non tollera la chemioterapia. Sono questi i pazienti per cui risultano necessari farmaci in grado di prendere di mira alterazioni specifiche”.
Mutazioni di IDH1 sono state individuate in circa il 10-14% dei pazienti con LMA.
Lo studio AGILE
L’efficacia di ivosidenib nei pazienti con LMA caratterizzata da mutazioni di IDH1 è stata dimostrata in uno studio di fase 3, lo studio AGILE, i cui risultati sono stati pubblicati dal New England Journal of Medicine nel 2022.
I pazienti del braccio sperimentale hanno assunto azacitidina (usata nel trattamento della LMA) più ivosidenib mentre i pazienti del gruppo di controllo hanno assunto azacitidina più placebo.
I pazienti trattati con la combinazione di ivosidenib e azacitidina hanno sperimentato un miglioramento statisticamente e clinicamente significativo della sopravvivenza globale mediana, che è risultata di 24 mesi rispetto ai 7,9 mesi osservati nel gruppo trattato con azacitidina e placebo.
“I risultati dello studio sono stati funzionali all’approvazione presso l’U.S. Food and Drug Administration (FDA), l’European Medicines Agency (EMA) e in seguito presso i singoli Paesi”, precisa Venditti. “La sperimentazione tra l’altro è stata interrotta in anticipo perché l’efficacia della terapia di combinazione era tale per cui, per ragioni etiche, andava offerta immediatamente ai pazienti”.
L’oncologia di precisione richiede lo screening sistematico delle mutazioni del tumore
Data l’elevata variabilità genetica osservata in queste due neoplasie, risulta fondamentale l’impiego di test di profilazione molecolare, come il Next Generation Sequencing (NGS). Questa tecnologia consente un’analisi dettagliata e simultanea di numerosi geni, fornendo importanti informazioni per la prognosi e la terapia dei pazienti, consentendo una più adeguata programmazione della strategia terapeutica. I test NGS permettono di ridurre le tempistiche di analisi e la quantità di tessuto tumorale necessaria per la caratterizzazione molecolare e allo stesso tempo di identificare in modo tempestivo e accurato le mutazioni, come quelle del gene IDH1.
“Molto spesso quando parliamo di terapia di precisione ci riferiamo esclusivamente ai farmaci, ma è chiaro che questo approccio medico si fonda su due pilastri, ugualmente importanti: i farmaci di precisione e la diagnostica di precisione. Bisogna investire su entrambi”, commenta Nicola Normanno, Direttore Scientifico dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori IRST “Dino Amadori” IRCCS.
I nuovi farmaci modificano il valore prognostico delle mutazioni
Per quanto in alcuni casi la presenza di particolari alterazioni genetiche nelle cellule tumorali sia associata a una prognosi peggiore, l’avvento dei farmaci i precisione sta ribaltando il valore prognostico di queste mutazioni. Vedremo quale sarà l’impatto del nuovo farmaco sulla prognosi dei pazienti in Italia.
La terapia è stata messa a punto dal gruppo Servier, particolarmente impegnato nella ricerca di soluzioni terapeutiche per i tumori rari. “Servier ha fatto della lotta contro il cancro una delle sue priorità, e siamo orgogliosi, ma al contempo consapevoli della grande responsabilità di essere l’unica azienda a sviluppare una franchise terapeutica dedicata alle neoplasie IDH mutate”, dichiara Marie-Georges Besse, Direttore Medical Affairs Gruppo Servier in Italia. “Il nostro impegno nella ricerca e sviluppo di nuove terapie è rivolto ai tumori rari e difficili da trattare. Attualmente, sono in corso studi clinici di Fase III su differenti indicazioni di ivosidenib, tra cui il condrosarcoma e la sindrome mielodisplastica, con l’obiettivo di offrire ai pazienti nuove opzioni terapeutiche efficaci e rispettose della qualità di vita”.