“Il Progetto Interceptor, finanziato da AIFA, rappresenta un passo avanti fondamentale verso l’individuazione di biomarcatori in grado di predire chi, affetto da disturbi cognitivi lievi, avrà in seguito maggiori possibilità di sviluppare l’Alzheimer. Consentendo così un utilizzo più mirato di terapie altamente costose, che rischierebbero altrimenti di mettere in seria crisi l’intero sistema di assistenza sanitaria”. Così il Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, Robert Nisticò, intervenuto nella mattinata di lunedì 17 febbraio all’Istituto Superiore di Sanità in occasione del convegno per la presentazione dei risultati dello studio sui biomarcatori in grado di predire l’insorgenza della malattia di Alzheimer nelle persone con disturbo cognitivo lieve.
“L’EMA – ha proseguito Nisticò – ha recentemente approvato il lecanemab, un anticorpo monoclonale che ripulisce il cervello della beta amiloide, la proteina che accumulandosi nel cervello può generare infiammazioni che portano alla neurodegenerazione e a disturbi come la perdita della memoria. Ma sull’efficacia del farmaco c’è ancora molta incertezza, perché rimuovere la beta amiloide non necessariamente ha un impatto positivo sul paziente in termini clinici e funzionali. Possiamo dire che questo, come altri già approvati dalla FDA americana, sono farmaci che rallentano il decorso della malattia, ma lo fanno in maniera transitoria e la loro efficacia a lungo termine è ancora tutta da verificare”.
“La realtà – ha concluso il Presidente di AIFA – è che l’Alzheimer è una malattia molto complessa che va aggredita sia con la prevenzione che con terapie in combinazione. Poi con biomarcatori che consentiranno di fare diagnosi e capire la prognosi saranno in futuro importanti le cosiddette terapie target, capaci di colpire il bersaglio più giusto per ciascun paziente. Questo nell’ambito di un approccio che è quello della medicina di precisione, alla quale AIFA sta lavorando con un Tavolo tecnico che raccoglie le più importanti società medico scientifiche e i rappresentanti dei medici”.
Il progetto Inteceptor
Il progetto nazionale Interceptor è promosso e finanziato nel 2018 dal Ministero della Salute e dall’Agenzia Italiana del Farmaco.
Lo studio è partito alla fine del 2016 in risposta alla possibile approvazione da parte della Food and Drug Administration del primo farmaco contro l’amiloide, il cui accumulo nel cervello viene ad oggi considerato una delle principali cause della demenza di Alzheimer.
Promotore e coordinatore è stato Paolo Maria Rossini, che in quegli anni dirigeva l’Unità Operativa di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e attualmente è responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele-Roma.
La ratio del progetto si basa sulla considerazione che le terapie sono più efficaci se somministrate precocemente, che le persone con disturbo cognitivo lieve (o MCI, Mild Cognitive Impairment) sono a maggior rischio di andare incontro a demenza entro tre anni e che le nuove terapie presentano importanti effetti collaterali, il che rende necessario individuare i candidati con miglior rapporto rischio/beneficio. Inoltre i costi altissimi e il fatto che solo il 30-40% degli MCI progredisce verso la demenza, rendono impossibile una somministrazione su larga scala (i pazienti con MCI in Italia sono circa 950mila).
A oggi, partendo da circa 500 volontari che hanno acconsentito a partecipare allo studio, sono stati analizzati 351 partecipanti con declino cognitivo lieve (MCI). I partecipanti, arruolati in 19 centri clinici diffusi in tutto il territorio nazionale, sono stati sottoposti a una serie di esami per rilevare i seguenti biomarcatori: MMSE per la valutazione delle funzioni cognitive, il DFR per la valutazione della memoria episodica, FDG-PET per l’analisi dell’attività metabolica cerebrale, Risonanza Magnetica (RM) volumetrica per la valutazione dell’atrofia ippocampale, EEG per lo studio della connettività cerebrale, test genetico per APOE e4 ed infine esame del liquido rachidiano per la misurazione dei markers biologici di malattia di Alzheimer.
I risultati
Durante il follow-up 104 pazienti con MCI sono progrediti ad una forma di Demenza, di questi 85 verso la diagnosi clinica di Demenza di Alzheimer (AD). I partecipanti sono stati seguiti in media per 2,3 anni, con valutazioni neuropsicologiche e funzionali ogni 6 mesi. Il modello finale include otto predittori: sesso, età, Amsterdam IADL, familiarità per la demenza, MMSE, volume dell’ippocampo sinistro (RM), rapporto abeta-42/p-tau e parametro combinato di Small Worldness dell’EEG.
Questo modello ha dimostrato buone capacità prognostiche nel predire la conversione a demenza, classificando correttamente l’81,6% delle persone con MCI sia quelle che convertiranno a demenza che quelle che resteranno stabili.
Nel caso di approvazione da parte di AIFA di qualcuno dei nuovi farmaci, la comunità di ricercatori di Interceptor si propone ora per un Interceptor 2.0 per validare il modello su un relativamente piccolo numero di soggetti e verificare sul campo la capacità di selezione dei soggetti ad alto rischio e di erogazione e monitoraggio del farmaco.