La pubblicazione del report sulla spesa sanitaria negli Stati Uniti ha creato malumore in chi crede che il settore farmaceutico sia responsabile dell’innalzamento indiscriminato dei prezzi. Emergono anche i primi risultati delle politiche applicate dai payers alle aziende produttrici.
I dati pubblicati da IMS (Institute for Healthcare Informatics) mostrano come la spesa per la prescrizione dei farmaci negli Stati Uniti abbia raggiunto quota 12%, pari a 425 miliardi di dollari (senza sconti), un record raggiunto a causa dei costi per nuovi farmaci oncologici e per l’epatite C. Le previsioni dicono anche che la spesa relativa alle prescrizioni dei farmaci nei prossimi 5 anni salirà al 22%, superando i 400 miliardi di dollari entro il prossimo decennio. Numeri che prendono in considerazione anche le politiche di sconto e altre concessioni sui prezzi, e che mostrano un tasso di crescita annuale dal 4 al 7% entro il 2020. Ma se si esaminano i prezzi nella loro globalità, IMS prevede un’innalzamento della spesa, da qui al 2020, del 46%, pari a 640 miliardi di dollari.
I dati e le previsioni dovrebbero far sì che la politica faccia pressione verso le industrie in termini di accesso ai nuovi farmaci affinché vengano svelati i meccanismi attraverso i quali si arriva a definire un prezzo di un farmaco. Dal fronte aziende nomi come Valeant Pharmaceuticals ($VRX) e quello del suo executive Martin Shkreli sono divenuti esempi negativi di tattiche speculative utilizzate nel campo pharma.
Dal report tuttavia non emerge solo una fotografia negativa. I trend di mercato mostrano una piccola crescita dei prezzi netti dei farmaci brandizzati, pari al 2,8% nel 2015, rispetto ad una crescita dei prezzi all’ingrosso del 12,4%. Un dato positivo quest’ultimo che mostra un calo di 2 punti rispetto al 14% registrato nel 2014. “Quanto accade è il riflesso delle nuove dinamiche di mercato – commenta Murray Aitken, direttore dell’IMS – che hanno fatto aumentare la competizione in molte aree terapeutiche, compresa quella del diabete, dove i produttori ottenevano le concessioni tramite politiche di sconto sui prezzi. Questo – spiega ancora Murray – fa il paio con le ‘tattiche aggressive’ applicate da chi gestisce il sistema assistenziale di partecipazione alla spesa farmaceutica e dalle assicurazioni che hanno di fatto ristretto l’acceso ad alcuni farmaci, nonostante i produttori avessero accordato degli sconti”.
I dati IMS su questo aspetto mostrano come le concessioni abbiano raggiunto quota 115.3 miliardi di dollari nel 2015, più del doppio rispetto al 2009. Ma ci sono alcuni eccessi. La spesa per le patologie oncologiche è una di quelle che ha fatto il salto più grande con una crescita che l’ha portata nel 2015 al 18% (39,1 miliardi di dollari). Simile il percorso fatto dalla spesa per le patologie autoimmuni – come l’artrite reumatoide – che hanno segnato un 28% pari a 30,2 miliardi di dollari.
Più di metà della crescita della spesa deriva dalle approvazioni FDA sui nuovi farmaci, avviate a partire dal 2014, come nel caso del farmaco Gilead per l’epatite C e di altri trattamenti per il cancro e per la sclerosi multipla. L’epatite C da sola, dominata dai farmaci prodotti da Gilead (Harvoni e Sovaldi), ha visto una spesa di 18,8 miliardi di dollari; una cifra che potrebbe aumentare in base ai risultati ottenuti da un nuovo farmaco targato Merck che sta tenendo testa a Sovaldi. Le prescrizioni di questi farmaci, tuttavia, hanno visto un calo in questi ultimi 12 mesi e le aziende farmaceutihce ritengono che i costi sostenuti a breve termine saranno controbilanciati da risparmi a lungo termine derivanti dalla radicalizzazione del numero di persone che soffronno di gravi patologie epatiche.
“La spesa per questi farmaci – commenta il numero uno di IMS USA – crescerà ma sarà gestibile perchè verrà controbilanciata da un piccolo aumento dei prezzi per i farmaci brandizzati e ad un aumento dei farmaci che perderanno il brevetto”.