Analgesici, antibiotici e farmaci oncologici costeranno sempre di più alle strutture ospedaliere pubbliche. “Sarà la conseguenza della fuga dei fornitori dalle gare per i medicinali off patent”, ha spiegato Massimiliano Rocchi, vicepresidente Assogenerici con delega per l’area ospedaliera. “L’eccessiva pressione sui prezzi e il conseguente fenomeno dei lotti deserti nel nostro Paese fanno registrare un costante rischio di carenze di fornitura e di extracosti per il Servizio sanitario nazionale – ha continuato Rocchi – Si tratta di un dato noto agli addetti ai lavori ma su questo tema c’è una sorta di deficit di consapevolezza determinato dal fatto che le istituzioni, specie in questo momento, sono comprensibilmente concentrate sui valori di mercato riferiti a particolari nicchie terapeutiche (es. epatite C), dedicando poca attenzione a percorsi terapeutici di routine che coinvolgono decine di migliaia di pazienti ogni giorno”.
Il mercato ospedaliero
Il focus è sul mercato ospedaliero, in particolare sulle criticità emerse negli ambiti di concorrenza e produzione. “In base ai dati Ims dell’anno 2016 – ha continuato il vicepresidente Assogenerici – il mercato farmaceutico ospedaliero complessivo è rappresentato da 974 milioni di UMF – unità minime frazionabili-singola fiala,compressa – per un valore pari a 6 miliardi di euro ai prezzi ex-factory, ovvero il prezzo massimo di cessione al Ssn non ancora sottoposto, nel caso dei farmaci off patent, allo sconto medio del 60% praticato in gara”. Le aziende produttrici di generici equivalenti, secondo i dati Assogenerici, coprono di fatto circa il 32% del fabbisogno. Nel dettaglio Rocchi ha fatto riferimento a quattro classi farmaceutiche, individuate secondo la classificazione ATC (Anatomica Terapeutica Chimica). La classe K1 (soluzioni infusionali) di cui le aziende di Assogenerici garantiscono il 99% a volumi (165 milioni di UMF- unità minime frazionabili), la Classe J1 (antibiotici), per il 69% a volumi (52 milioni di UMF), quella N2 (analgesici) dove il comparto rappresenta il 41% a volumi (30 milioni di UMF) e la Classe L1 (oncologici), per il 35% a volumi (4 milioni di UMF). “Il settore ospedaliero afferente alle aziende degli equivalenti movimenta volumi elevatissimi, in molteplici casi in completa e definitiva assenza di competizione da parte delle aziende brand – ha sottolineato Rocchi – In questo quadro il sistema delle gare al massimo ribasso rischia di determinare la fuoriuscita dal mercato di numerose imprese, soprattutto Pmi, con una significativa riduzione del numero di aziende operanti e della possibilità di risparmio garantite fino a oggi dalla competizione tra imprese. Di più, in particolare per alcuni specifici medicinali c’è anche un pesante rischio di riduzione della capacità produttiva, con conseguente incapacità da parte del comparto di far fronte alla domanda. Si sono già avuti alcuni casi di mancata fornitura, con conseguente ricorso da parte delle aziende a mercati esteri con costi superiori al previsto”. I numeri del fenomeno, ha ribadito, sono già noti alle istituzioni: “Una recentissima indagine realizzata da Nomisma sugli effetti delle gare e sulla sostenibilità della spesa ospedaliera evidenzia che negli anni dal 2010 al 2015 il tasso di partecipazione alle gare per le forniture ospedaliere da parte delle aziende genericiste è andato progressivamente diminuendo ed è corrispondentemente aumentato il numero dei lotti non aggiudicati che rappresentano oltre un quarto del totale. E anche la sola ripetizione della gara determina costi extra che potrebbero essere evitati. È evidente – ha concluso – che senza l’introduzione di adeguati correttivi restano pochi margini di sostenibilità nel lungo periodo. E sarà l’intera spesa di settore ad entrare in crisi davvero”.