USA: riuscirà Trump a risollevare la reputazione di Big Pharma?

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A gennaio Trump entrerà ufficialmente alla Casa Bianca. E nella nuova agenda presidenziale i temi della sanità saranno fra le top priorities. Gli ultimi mesi del 2016 sono trascorsi all’insegna delle polemiche sulle politiche dei prezzi e dell’accesso ai farmaci. Nonostante tutto, all’indomani dell’elezione di Trump, i futures dei Pharma sono schizzati verso l’alto. La ragione? Il mercato ritiene che alcuni dei cambiamenti che Hillary Clinton avrebbe voluto affrontare, saranno più facili da portare avanti, visto che Casa Bianca e Congresso sono entrambi in mano ai Repubblicani. Ma riuscirà Trump nell’impresa? Lo senario non è dei migliori. Stando ai risultati di una recente indagine di Gallup, il 51% dei cittadini statunitensi ha una visione molto negativa o piuttosto negativa della politica sanitaria USA, rispetto al 28% che la considera molto positiva o in qualche modo positiva. Insomma se Trump decidesse di andare dietro all’industria farmaceutica riceverebbe troppe critiche; viceversa, se attuasse una stretta sui prezzi, avrebbe un grande sostegno pubblico. Ormai per Big Pharma è tempo di prendere in mano la situazione. Come ha fatto, per esempio, Brent Saunders, presidente e CEO di Allergan, che ha affrontato la questione prezzi con trasparenza sul blog aziendale nel mese di settembre, riportando le opinioni sull’argomento e scrivendo nero su bianco cosa l’azienda promette di fare in futuro.

Il ruolo della FDA e la questione biosimilari
Al di là delle preoccupazioni su cosa potrebbe accadere al settore con la presidenza Trump, a destare interesse è il gruppo dirigente della FDA. E anche se sono tutti abbastanza contenti della situazione attuale, l’unico timore è su Robert Califf, commissario dai primi mesi del 2016, che potrebbe essere fatto fuori dall’amministrazione Trump. Questa mossa, tuttavia, sembrerebbe improbabile, visto che democratici e repubblicani concordavano sulle qualifiche di Califf, definito come ‘l’uomo giusto al posto giusto’, che “dal primo giorno non ha avuto paura di prendere decisioni difficili”, come ha dichiarato Peter Pitts, presidente e cofondatore del Center for Medicine in the Public Interest. Con Califf, la FDA ha affrontato alcuni dei problemi più difficili del settore farmaceutico e ha perseguito un programma molto vicino ai pazienti, soprattutto rispetto alle dirigenze precedenti. “La FDA sente il bisogno di giudicare l’intero processo che porta allo sviluppo di un farmaco, e non solo servire come cane da guardia verso i farmaci cattivi o avere un occhio solo sui nuovi”, ha aggiunto Pitts. E l’ente regolatorio avrà anche un ruolo importante nell’affrontare il problema dei biosimilari, che hanno portato a controversie non solo a livello normativo, ma anche dal punto di vista politico e istituzionale. Si spera, dunque, che la FDA metta a tacere le preoccupazioni del settore, magari partendo dal nomenclatore dei biosimilari.

Trasparenza nella comunicazione
Inoltre, dall’ente regolatorio ci si aspetta che risolva altri nodi come la comunicazione off-label o quella gestita dai social media, dalla quale anche il marketing aziendale si aspetta molto. E il problema è che se la FDA non agisce, lo farà un giudice e “come industria non vogliamo che un giudice decida ciò che è lecito e ciò che non è quando si tratta di contenuti scientifici”, ha sottolineato Pitts. Alcuni punti su questo problema rientreranno probabilmente nel 21st Century Cures Act, ma gli analisti non ci vedono ancora chiaro. Per quanto riguarda invece le regole sui social media, gli esperti di marketing sono esasperati ormai da tempo. In assenza di linee guida definite dalla FDA, i pazienti non si avventurano nei social media, e non hanno così modo di partecipare attivamente al loro benessere e al miglioramento del mondo sanitario. “Ogni volta che la FDA dichiara di darci una mano in questo senso, arriva un anno di ritardo”, ha spiegato Sharon Callahan, presidente dell’Executive Coalition Committee for Healthcare Communication. E questo ha portato al fatto che “nei social media, marchi e terapie vengono affidati a persone non esperte. E questo si traduce in un ritardo nell’ottenere informazioni sugli eventi avversi”.

 

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