Oggi è la volta dell’annuncio di Roche: la big pharma svizzera prevede di investire 50 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi 5 anni, con la creazione di oltre 12.000 nuovi posti di lavoro, nel tentativo di prevenire gli effetti delle minacce di dazi da parte del presidente Trump. Ed è solo l’ultima in ordine di tempo: in queste ultime settimane, le aziende farmaceutiche stanno in gran parte definendo piani per incrementare gli investimenti Oltreoceano, focalizzati sulla produzione locale e sulla creazione di posti di lavoro, nella consapevolezza che il tycoon si sta preparando a imporre dazi sulle importazioni di medicinali – finora esentati dall’aumento delle imposte – con l’obiettivo di rilanciare la produzione nazionale. Obiettivo che, stando ai programmi che le imprese stanno realizzando, sembra sarà centrato.
L’iniziativa di Roche prevede l‘espansione di impianti produttivi e centri di distribuzione in Kentucky, Indiana, New Jersey e California, oltre alla costruzione di una fabbrica di terapia genica in Pennsylvania, un impianto per il monitoraggio continuo del glucosio in Indiana, una struttura per la produzione di farmaci per la perdita di peso e un centro di ricerca cardiovascolare, renale e metabolico in Massachusetts. Thomas Schinecker, CEO di Roche, ha dichiarato che l’investimento riflette l’impegno dell’azienda per l’innovazione e la crescita negli Stati Uniti, dove attualmente impiega 25.000 persone in 24 siti. Una volta completata l’espansione, Roche prevede di esportare più medicinali dagli Stati Uniti di quanti ne importi, contribuendo così a rafforzare la produzione farmaceutica nazionale.
Anche altre importanti aziende farmaceutiche stanno aumentando la loro presenza negli Stati Uniti. Novartis ha annunciato la scorsa settimana un investimento di 23 miliardi di dollari: “Come azienda con sede in Svizzera e una presenza significativa negli Stati Uniti, questi investimenti ci consentiranno di portare completamente la nostra catena di approvvigionamento e le nostre piattaforme tecnologiche chiave negli Stati Uniti, a supporto delle nostre solide prospettive di crescita. Questi investimenti riflettono anche la politica pro-innovazione e il contesto normativo statunitense, che supportano la nostra capacità di individuare le prossime innovazioni mediche per i pazienti”, ha dichiarato Vas Narasimhan, CEO di Novartis. “Siamo preparati ai cambiamenti del contesto esterno e siamo pienamente fiduciosi nelle nostre previsioni per il 2025, nelle prospettive di crescita del fatturato a medio-lungo termine e nella previsione di un margine di profitto core del 40% superiore al 2027”, ha assicurato. L’investimento include un nuovo polo di ricerca da 1,1 miliardi di dollari a San Diego. Il nuovo complesso, la cui apertura è prevista tra il 2028 e il 2029, fungerà da epicentro della presenza di Novartis West Coast Biomedical Research, integrando gli hub esistenti di Cambridge, Massachusetts, e Basilea, Svizzera. Inoltre, l’azienda prevede nuovi stabilimenti in Florida e Texas”.
Ma le mosse legate all’adattamento al contesto internazionale non riguardano solamente le aziende europee: anche l’americana Eli Lilly ha pianificato la costruzione di quattro nuovi impianti produttivi per un costo di almeno 27 miliardi di dollari, mentre la connazionale Johnson & Johnson ha recentemente comunicato investimenti attorno ai 55 miliardi di dollari per espandere la produzione interna. Eli Lilly, in particolare, sta puntando sulla produzione domestica del nuovo farmaco orale per la perdita di peso, orforglipron, basato sull’ormone GLP-1.
L’azienda prevede che, entro cinque anni, tutti i farmaci GLP-1 destinati al mercato statunitense saranno prodotti internamente, con l’obiettivo di migliorare l’accessibilità e ridurre i costi. E mentre le grandi aziende farmaceutiche investono per rafforzare la produzione interna, i produttori di farmaci generici esprimono preoccupazione per l’impatto delle tariffe proposte.
Con circa il 90% delle prescrizioni negli Stati Uniti rappresentate da farmaci generici o biosimilari, e l’80% di questi prodotti fabbricati o approvvigionati a livello internazionale, le tariffe potrebbero interrompere la catena di approvvigionamento e causare carenze di medicinali. La stessa Johnson & Johnson ha avvertito che le tariffe potrebbero creare interruzioni nella catena di fornitura, portando a carenze di farmaci e aumentando i costi per i pazienti.