“Servono alternative al payback. Aziende verso nuovo ricorso a Tar, ma superarlo si può”. Intervista a Confalone (Novartis)

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La minaccia di dazi dagli Usa, la riforma di legislazione europea ancora ferma al palo, il payback grande ‘spettro’ del comparto, una manovra economica che non ha pienamente soddisfatto le aspettative del settore. Il mondo dell’industria farmaceutica italiana affronta un momento complesso. “Pur mantenendo il proprio primato di comparto solido nella produzione e fortemente innovativo, con un export da record nel 2024 pari a 40 miliardi di euro, alti livelli di occupazione qualificata, e pur essendo tutto questo riconosciuto dal governo, non si è ancora riusciti a creare le condizioni per rendere tutto il sistema competitivo, anche nel contesto internazionale”. Ma per Valentino Confalone, amministratore delegato di Novartis Italia e chairman di Eunipharma, il gruppo di Farmindustria che riunisce le 35 aziende farmaceutiche multinazionali a capitale europeo e nipponico che operano in Italia, è possibile lavorare per uscire da questa impasse “ed è ciò che con Farmindustria stiamo facendo grazie a un tavolo con il governo. Abbiamo la necessità di una revisione della governance farmaceutica per sostenere competitività e attrattività del settore e favorire l’accesso precoce all’innovazione”.

Ma partiamo dal contesto italiano. “La manovra economica è stata, purtroppo, deludente: al di là delle intenzioni iniziali del governo – ricorda – ci si è scontrati con vincoli di bilancio importanti. Di fatto, la mancata rimodulazione adeguata dei fondi per la farmaceutica unita al sottofinanziamento avrà due conseguenze gravi: frenare l’accesso a soluzioni terapeutiche innovative, perché gli ospedali si ritroveranno a sforare il budget e questo comporterà una limitazione inevitabile alla disponibilità dei farmaci; e l’altra conseguenza, più di natura industriale, è che si farà ricadere il peso di tutto questo su un ristretto gruppo di aziende farmaceutiche. Sono circa 15 quelle che pagano il 75% del payback (e 28 la restante parte). Molte delle quali hanno deciso di ricorrere nuovamente al Tar contro questo meccanismo distorto di ripiano della spesa. Questa tassa occulta che incide su poche aziende crea una situazione competitiva complessa che continua ad aggravarsi di anno in anno: nel 2023 era di 1,6 miliardi di euro, nel 2024 sarà di 1,8 miliardi e nel 2025 le proiezioni parlano di 2,2 miliardi di euro. E’ chiaro che il sistema così com’è strutturato è arrivato al capolinea, tanto che molte aziende hanno deciso nuovamente di ripresentare ricorso: ci sono elementi di natura incostituzionale in un meccanismo così distorsivo della competizione, che ‘mangia’ circa il 16% del fatturato delle aziende che devono ripianare lo sforamento della spesa farmaceutica diretta”.

“Dall’altra parte – assicura – la volontà è quella di continuare a lavorare in maniera costruttiva per trovare proposte alternative al payback con un meccanismo che superi i silos di spesa e che faciliti un’allocazione più adeguata delle risorse. In generale, serve una revisione della governance farmaceutica per sostenere competitività e attrattività del settore e favorire l’accesso precoce all’innovazione. Su questo ci stiamo confrontando proprio al tavolo di lavoro tecnico con il governo”.

In ogni caso, secondo l’ad Novartis, “qualche elemento positivo nella manovra c’è: quantomeno si prova a utilizzare il fondo per i farmaci innovativi allargandolo anche ai prodotti a innovatività condizionata, una misura a costo zero; mentre non abbiamo ancora chiaro il tema della compensazione automatica dei tetti o quantomeno quello dello spostamento dalla diretta alla convenzionata di alcune classi di farmaci per ridurre lo sforamento, che potrebbe in parte mitigare lo sforamento ma non sarebbe comunque decisiva come misura”.

Per una multinazionale come Novartis, in questo contesto, “non è comunque mai stata messa in discussione la presenza in Italia, anche dal punto di vista manifatturiero: anzi, abbiamo aumentato gli investimenti in entrambi i nostri siti di produzione a Ivrea e a Torre Annunziata: questo perché qui ci sono le competenze necessarie, al di là di tutto. I farmaci che produciamo vengono esportati in tutto il mondo: il grosso dell’export di Novartis va in Europa, in Cina, meno negli Stati Uniti”.

Il tema dei dazi fino al 25% sulla farmaceutica paventati dal presidente Trump è però “ugualmente preoccupante perché in grado di creare gravi distorsioni che possono peggiorare l’accesso ai farmaci e la disponibilità di cure sostenibili. Dal punto di vista industriale il rischio è soprattutto per i prodotti a minor valore aggiunto, penso ad esempio ai farmaci generici, per i quali in molti casi la produzione si è concentrata in alcune aree del mondo e avere dei dazi su queste parti della catena del valore della farmaceutica potrebbe cambiarne i flussi e creare distorsioni. Questo richiederà comunque del tempo, ricordando sempre che gli aumenti dei costi di produzione alla fine vengono scaricati sui sistemi sanitari o sui cittadini. Non penso sia la strada adeguata da intraprendere. Come Novartis pensiamo che indubbiamente ci sia del lavoro da fare per assicurarci che non ci sia concorrenza sleale da parte di alcuni paesi, occorre collaborare col governo Trump anche sulla prevenzione delle malattie, ma la strada dei dazi è quella che meno di tutte aiuterebbe”.

Infine, la cornice europea, con una riforma della legislazione farmaceutica “su cui non ci sono grandi novità, è ferma e per noi rimane un tema assolutamente importante quello della tutela del brevetto. In un contesto sempre più competitivo, avere una normativa che non lo agevola è davvero un suicidio: l’Europa è da sempre leader nella regolamentazione, mentre gli Usa sono leader nell’innovazione. Investiamo sempre meno come quota percentuale in ricerca rispetto a quello che si investe in ricerca farmaceutica nel mondo. E meccanismi come quello previsto nella bozza di riforma Ue che riducono la tutela brevettuale non favoriscono la necessaria inversione di tendenza che crei le condizioni per facilitare la ricerca e gli investimenti. Come si dice, mai sprecare l’opportunità di una crisi: penso che oggi come non mai si possa e si debba sfruttare questo periodo per ridisegnare il sistema industriale del farmaco, considerandolo non un costo, ma un valore, in considerazione dei risparmi dei costi sociali e sanitari che l’innovazione farmaceutica sta apportando e sempre più apporterà in futuro”.

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