Questa settimana porta con sé i giorni clou legati all’esame della Manovra in Parlamento. Come noto, il settore industriale farmaceutico ha lamentato l’assenza di alcuni interventi che si attendevano, fra cui l’innalzamento del tetto di spesa per i farmaci a livello ospedaliero. E ha criticato invece misure che riducono i margini dell’industria a favore dei grossisti. “Sono rilievi di parte, che noi accogliamo e che ci danno lo stimolo per far meglio. Ricordo però che negli ultimi 24 mesi il governo ha attenzionato 2 su 3 dei soggetti della filiera farmaceutica, che si compone dell’industria, dei distributori intermedi che acquistano dall’industria per vendere alle farmacie, e delle farmacie che erogano poi i medicinali sul territorio. Primo e terzo soggetto, industrie e farmacie, erano state attenzionate nella passata legge di Bilancio con delle misure ad hoc”. Lo ricorda il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, ospite della nuova puntata di Future in Healthcare.
“In questa manovra – rivendica – continuiamo ad attenzionare l’industria, con 300 milioni di euro di farmaci legati all’innovatività condizionata che vengono spostati dal silos della diretta a quella della innovatività, facendo risparmiare all’industria 150 milioni di euro come mancato payback; 100 milioni dei cosiddetti antibiotici reserve, che vengono inseriti nel fondo della innovatività, quindi sottratti al payback per altri 50 milioni di euro. Questo si unisce a tutta un’altra serie di misure, per esempio il passaggio di alcune classi di farmaci dalla diretta alla convenzionata: quest’anno abbiamo spostato le gliptine, semplici e in associazione, che cubano all’incirca 130 milioni di euro, quindi 65 milioni di euro di mancato pagamento di payback da parte dell’industria. Potrei continuare: abbiamo innalzato lo scorso anno dello 0,2% il fondo della diretta, portandolo dall’8,3 all’8,5%, per un valore di 260 milioni di euro, altri 130 milioni in più di mancato payback per l’industria. E ci sono altre misure a favore di quello che è un fiore all’occhiello come l’industria farmaceutica, che vanta 52 miliardi di produzione. Abbiamo però inteso rafforzare anche la distribuzione, perché se questa salta, si crea un problema per il cittadino che non riesce più ad avere il farmaco, ma evidentemente anche per chi lo produce. Il tutto immaginando un piccolo spostamento: ho citato le centinaia di milioni di euro a favore” dell’industria, “questa misura occupa, per come l’abbiamo ridimensionata e ridotta, intorno ai 50 milioni di euro, che si spostano a favore dei distributori intermedi. Stiamo immaginando qualche ulteriore ritocco, siamo praticamente in fase di redazione ultima della legge di bilancio, però tutto questo mi racconta l’esatto contrario, di un eccesso di attenzione nei confronti dell’industria, perché riconosciuta player importante che contribuisce attivamente alla nostra bilancia economica e all’export verso Paesi esteri. Però coerentemente abbiamo dato, e coerentemente vogliamo rafforzare la filiera andando verso i distributori intermedi che ricordo oggi avere dei bilanci con utile medio dichiarato dello 0,01%, quindi fatturati molto alti con utili bassi: dei giganti ma con i piedi d’argilla, che se crollano fanno crollare la distribuzione e quindi l’accesso per i cittadini al farmaco”.
Tutto il sistema, secondo Gemmato, ha bisogno di “nuovi modelli organizzativi. Il nostro servizio sanitario nazionale nasceva con la legge 833 del 23 dicembre 1978 per rispondere a una domanda di sanità di una società che era diversa da quella attuale: si aveva una popolazione giovane, che veniva dal dopoguerra, dal boom economico degli anni ‘60, si facevano tanti figli. Non c’era la grande cronicità di oggi. Attualmente la larga parte del Fondo sanitario nazionale viene assorbita, in tema di farmaceutica, per la gestione della cronicità, delle grandi le malattie croniche non trasmissibili, tumori, malattie metaboliche, cardiovascolari. A mio avviso, andrebbe innalzata la spesa farmaceutica tout court” anziché “ancorarla alla percentuale del 15,3% in una popolazione che invecchia e che purtroppo non fa figli, perché stiamo vivendo un periodo di inverno demografico. La vita media aumenta e aumenta anche la richiesta di farmaci. Questo significa che dovremmo a mio avviso innalzare il fondo e perequare il fondo fra la diretta e la convenzionata. Ricordo che per il 2026 abbiamo più di 5 miliardi di finanziamento in più per il Fondo sanitario nazionale già bollinati, essi probabilmente mireranno a compendiare tutto questo e a fare in modo che ulteriori misure possano essere considerate. Ci sono poi delle misure che stiamo intraprendendo, come il passaggio da 6 a 10 anni per la innovatività, che ci raccontano di un’attenzione particolare del nostro ministero nei confronti del mondo della ricerca e del mondo dell’industria, della quale noi riconosciamo la valenza perché produce Pil, ma dà anche importanti risposte di salute a una popolazione che invecchia e quindi ha bisogno di essere curata al meglio”.
Infine, la grande sfida dei super-batteri resistenti alle cure: “L’antibiotico-resistenza – spiega Gemmato – è una criticità che si sta affrontando e che già oggi valida la sua negatività provocando in Italia un terzo di quelle 35.000 morti che avvengono in Europa. Già nel documento di posizionamento di Borgo Egnazia, per il G7, era stato declinato questo come focus su cui attivarsi. Al G7 di Ancona il ministro Schillaci, con i sette ministri della Salute del G7, ha affrontato il tema. A Bari abbiamo avuto una sorta di summa rispetto a quello che l’Italia e i Paesi del G7, insieme al cosiddetto quadripartito, possono fare per approcciare in maniera risolutiva il tema dell’antibiotico-resistenza. In concreto sono stati dati quel meccanismo di push & pull, quindi incentivo alla ricerca e sostenibilità della produzione farmaceutica, con 21 milioni di euro annunciati dal ministro Giorgetti proprio al G7 di Ancona, e 100 milioni di euro per i cosiddetti antibiotici reserve in questa finanziaria, che vanno a costituire un segno tangibile dell’impegno italiano nel contrasto antibiotico resistenza. Questo si somma poi agli interventi delle altre nazioni mondiali. C’è poi un altro tema, quello del corretto utilizzo degli antibiotici” a livello umano, ma è un elemento che “passa attraverso una limitazione nell’assunzione di questi medicinali pure nella filiera zootecnica, perché assumiamo antibiotici anche mangiando carni. In questo c’è un elemento positivo poiché l’Italia negli ultimi anni ha ridotto del 46,7% la somministrazione di antibiotici nella filiera zootecnica e siamo primi in Europa. Questo grazie a una serie di operatività che sono state messe in campo, in primis la ricetta veterinaria elettronica: siamo i primi in Europa ad averla messa a terra, portando a un tracciamento e quindi a una più corretta assunzione dell’antibiotico. Questo insieme a una policy politica di incentivo, attraverso la PAC, a quelle aziende zootecniche che abbattono l’utilizzo dell’antibiotico. Una sfida globale, che l’Italia insieme agli altri Paesi del mondo sta affrontando”.