Dimostrata dai risultati dello studio di Fase IIIb/IV DESTINY-Breast12 la sostanziale attività clinica generale e intracranica di trastuzumab deruxtecanq in una grande coorte di pazienti con tumore al seno metastatico HER2-positivo con metastasi cerebrali, che hanno ricevuto non più di due precedenti linee terapeutiche nel setting metastatico. I risultati sono stati illustrati come presentazione late-breaking al Congresso della European Society for Medical Oncology e contemporaneamente pubblicati su Nature Medicine.
Trastuzumab deruxtecan è un anticorpo monoclonale farmaco-coniugato (ADC) DXd specifico per il recettore HER2 formulato da Daiichi Sankyo e sviluppato e commercializzato congiuntamente da Daiichi Sankyo e AstraZeneca.
Nelle pazienti con metastasi cerebrali al basale, l’endpoint primario di sopravvivenza libera da progressione (PFS), valutata attraverso una revisione centrale indipendente, mostra un tasso di PFS a 12 mesi del 61,6%. Inoltre, le pazienti con metastasi cerebrali mostrano un tasso di PFS CNS (PFS a livello del sistema nervoso centrale) del 58,9%. I risultati sono coerenti nelle pazienti con metastasi cerebrali attive e stabili. Le pazienti con metastasi cerebrali stabili mostrano un tasso di PFS a 12 mesi del 62,9% e un tasso di PFS CNS a 12 mesi del 57,8%. Le pazienti con metastasi cerebrali attive mostrano un tasso di PFS a 12 mesi del 59,6% e un tasso a 12 mesi di PFS CNS del 60,1%. Questo farmaco è soggetto a monitoraggio addizionale. Ciò permetterà la rapida identificazione di nuove informazioni sulla sicurezza. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta. Nelle pazienti senza metastasi cerebrali al basale, l’endpoint primario di tasso di risposta obiettiva (ORR) confermata secondo una revisione centrale indipendente mostra un ORR del 62,7% con 23 risposte complete (CR) e 128 risposte parziali (PR).
“Trastuzumab deruxtecan appartiene a una nuova classe di farmaci in oncologia – spiega Giampaolo Bianchini, Professore associato e responsabile del Gruppo mammella dell’IRCSS Ospedale San Raffaele, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano -. È costituito da un anticorpo monoclonale, che riconosce un bersaglio terapeutico sulla cellula tumorale (la proteina HER2), e da un chemioterapico molto potente che è attaccato all’anticorpo tramite un legame (linker) che viene rotto dentro la cellula tumorale. In sintesi, l’anticorpo funge da cavallo di troia per portare in modo mirato la chemioterapia dentro la cellula. Questo approccio è anche definito chemioterapia ‘smart’. La presenza di metastasi encefaliche è sempre stata percepita sia dai medici che dai pazienti come una situazione di grande gravità e con limitate opzioni terapeutiche, generalmente limitate alla radioterapia, perché molti farmaci utilizzati comunemente non riescono a raggiungere le metastasi encefaliche o hanno un’efficacia estremamente limitata su queste”.
“Il risultato più importante dello studio DESTINY-Breast12 – continua il Prof. Bianchini – è stato quello di dimostrare che, in donne con metastasi encefaliche da neoplasia HER2-positiva già trattate con radioterapia o non trattabili con terapie locali (né radioterapia, né chirurgia), questo farmaco è in grado ridurre significativamente le dimensioni delle lesioni encefaliche in più di due pazienti su tre (ORR a livello del sistema nervoso centrale 71,7%), alcune con una scomparsa completa della malattia visibile. Inoltre, a 12 mesi dall’inizio del trattamento, il 61,6% delle pazienti ne stava ancora beneficiando”.
“Le terapie mirate hanno cambiato la storia del carcinoma della mammella metastatico HER2 positivo e oggi molte donne hanno una lunga aspettativa di vita. Resta, però, un forte bisogno clinico di strumenti ancora più efficaci per la malattia metastatica, già trattata con la terapia standard, in particolare in presenza di metastasi cerebrali – afferma Valentina Guarneri, Direttore della Oncologia 2 dell’Istituto Oncologico Veneto – IRCCS di Padova e Professore Ordinario di Oncologia Medica all’Università di Padova -. Nello studio DESTINY-Breast12 sono state coinvolte 504 pazienti con malattia metastatica HER2 positiva precedentemente trattata, con o senza metastasi cerebrali. Circa 250 presentavano metastasi encefaliche. È un aspetto molto importante, perché spesso le pazienti con metastasi al cervello sono escluse dagli studi registrativi o sono arruolate in numeri molto bassi. Ma, nella malattia HER2 positiva, una percentuale significativa di pazienti, fino al 50%, può sviluppare metastasi cerebrali. Pertanto, è cruciale disporre di studi prospettici, disegnati per persone con queste caratteristiche, molto difficili da gestire”.
“Nello studio DESTINY-Breast12 – continua la Prof.ssa Guarneri – anche le pazienti con metastasi cerebrali, che storicamente presentano una prognosi sfavorevole, hanno raggiunto una sopravvivenza globale molto lunga. A 12 mesi quest’ultima è risultata superiore al 90% in entrambi i gruppi di pazienti, con e senza metastasi cerebrali. È un dato molto importante, se si considera che si tratta di donne che hanno già seguito una o due linee di trattamento per la malattia metastatica. La terapia sistemica con trastuzumab deruxtecan è quindi molto efficace nel controllo delle metastasi cerebrali. Si conferma, inoltre, il valore della ricerca del nostro Paese. I sette centri italiani hanno arruolato complessivamente 87 pazienti sul totale di 504 nello studio”.
Sunil Verma, Global Head, Oncology Franchise, AstraZeneca, dichiara: “I risultati di DESTINY-Breast12 mostrano una sostanziale attività clinica nelle pazienti che presentano la diffusione della malattia al cervello. Questi dati, insieme ai risultati nelle pazienti senza metastasi cerebrali, rafforzano la fiducia nel profilo clinico di trastuzumab deruxtecan per il trattamento di seconda linea del tumore al seno metastatico HER2-positivo”.
Mark Rutstein, Global Head, Oncology Development, Daiichi Sankyo, ribadisce: “Il trattamento delle metastasi cerebrali nelle pazienti con tumore al seno è complicato perché le opzioni terapeutiche efficaci sono limitate. Aggiungendosi ai dati degli studi precedenti, questi risultati mostrano che trastuzumab deruxtecan può esercitare una forte attività clinica generale e intracranica e supportano il suo ruolo potenziale nel trattamento delle pazienti con metastasi cerebrali attive o stabili”.
L’analisi post-hoc nelle pazienti con metastasi cerebrali attive mostra che l’ORR CNS è stato dell’82,6% (n=19/23) nelle pazienti che non avevano ricevuto precedenti terapie locali per CNS e del 50,0% (n=19/38) nelle pazienti in progressione dopo una precedente terapia locale per CNS.
Il profilo di sicurezza di trastuzumab deruxtecan nello studio DESTINY-Breast12 è risultato coerente con i precedenti studi clinici nel tumore al seno e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza. Il profilo di sicurezza di trastuzumab deruxtecan nello studio è risultato generalmente consistente nelle pazienti con o senza metastasi cerebrali.
La malattia polmonare interstiziale (ILD) o polmonite si è verificata nel 12,9% delle pazienti nella coorte senza metastasi cerebrali e nel 16,0% nella coorte delle pazienti con metastasi cerebrali, come determinato dallo sperimentatore. La maggior parte degli eventi di ILD è risultato di basso Grado (Grado 1 or 2). Nelle pazienti senza metastasi cerebrali, si sono verificati 22 casi di ILD di Grado 1, 6 di Grado 2, zero di Grado 3 e 4, e 3 (1,2%) di Grado 5. Nelle pazienti con metastasi cerebrali, sono stati osservati 26 eventi di ILD di Grado 1, 8 di Grado 2, 1 di Grado 3, 1 di Grado 4 e 6 (2,3%) di Grado 5. Cinque eventi di ILD o polmonite nella coorte con metastasi cerebrali sono stati riportati dall’investigatore come concomitanti con infezioni opportunistiche (1 di Grado 4 e 4 di Grado 5). Trastuzumab deruxtecan è approvato in più di 65 Paesi per il trattamento del tumore al seno non resecabile o metastatico HER2-positivo che hanno ricevuto in precedenza un regime anti-HER2. Trastuzumab deruxtecan non è rimborsato in Italia nelle pazienti con tumore del seno metastatico HER2-positivo con metastasi cerebrali attive.
Presentati sempre all’Esmo i risultati positivi dello studio di Fase III NIAGARA che mostrano come durvalumab in combinazione con la chemioterapia abbia prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante dell’endpoint primario di sopravvivenza libera da eventi (EFS) e del principale endpoint secondario di sopravvivenza globale (OS) rispetto alla chemioterapia neoadiuvante nei pazienti con carcinoma della vescica muscolo-invasivo (MIBC). I pazienti sono stati trattati con durvalumab in combinazione con la chemioterapia neoadiuvante prima della cistectomia radicale (chirurgia per la rimozione della vescica) seguito da durvalumab come monoterapia adiuvante. Questi risultati sono stati contemporaneamente pubblicati nel The New England Journal of Medicine.
A un’analisi ad interim predefinita, i pazienti trattati con il regime perioperatorio con durvalumab mostrano una riduzione del 32% del rischio di progressione di malattia, di recidiva, di non completare la chirurgia prevista o di morte rispetto al braccio di confronto (rapporto di rischio [HR] 0,68; intervallo di confidenza [CI] 95% 0,56-0,82; p<0,0001). La EFS media stimata non è stata raggiunta nel braccio durvalumab rispetto a 46,1 mesi nel braccio di confronto. Si stima che il 67,8% dei pazienti trattati con il regime durvalumab fosse libero da eventi a due anni, rispetto al 59,8% del braccio di confronto.
I risultati dell’endpoint secondario di OS mostrano che il regime perioperatorio con durvalumab ha ridotto il rischio di morte del 25% rispetto alla chemioterapia neoadiuvante pre cistectomia radicale (HR 0,75; CI 95% 0,59-0,93; p=0,0106). La sopravvivenza mediana non è stata raggiunta in entrambi i bracci. L’82,2% dei pazienti trattati con il regime durvalumab è vivo a due anni rispetto al 75,2% del braccio di confronto.
“Lo studio NIAGARA dimostra che l’aggiunta dell’immunoterapia con durvalumab, prima e dopo la chirurgia, può rappresentare una strategia innovativa, in grado di cambiare la pratica clinica per i pazienti con tumore uroteliale della vescica infiltrante operabile – afferma Lorenzo Antonuzzo, Direttore della Struttura Complessa di Oncologia Clinica all’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica Università di Firenze -. Questo regime immunoterapico permette di migliorare in modo significativo i due endpoint principali dello studio, cioè la sopravvivenza libera da eventi e la sopravvivenza globale. Il dato sulla sopravvivenza globale è particolarmente rilevante in una popolazione di pazienti complessa da trattare, come quella colpita dal tumore uroteliale della vescica infiltrante. Pur trattandosi di una neoplasia localizzata a livello della vescica, è più aggressiva rispetto a quella non infiltrante e può estendersi localmente fino a invadere gli strati muscolari e l’intera parete vescicale”.
“Nello studio NIAGARA, che ha coinvolto circa 1000 pazienti, sono stati utilizzati il trattamento neo-adiuvante, cioè perioperatorio, costituito dalla chemioimmunoterapia e durvalumab in monoterapia dopo l’intervento chirurgico – continua il Prof. Antonuzzo -. Il braccio di confronto è costituito dalla chemioterapia neoadiuvante. NIAGARA è il primo studio registrativo in cui un regime immunoterapico, prima e dopo l’intervento chirurgico, prolunga la sopravvivenza in questa patologia”.
Susan Galbraith, Executive Vice President, Oncology R&D, AstraZeneca, dichiara: “I dati di NIAGARA mostrano miglioramenti convincenti di sopravvivenza libera da eventi e di sopravvivenza globale, con più dell’80% dei pazienti trattati con il regime perioperatorio vivo a due anni. È il primo regime immunoterapico che prolunga significativamente la sopravvivenza globale nel carcinoma della vescica muscolo invasivo, e convalida ulteriormente la nostra strategia di anticipare il trattamento del cancro il prima possibile per massimizzare il beneficio per i pazienti”.
Durvalumab è stato generalmente ben tollerato e non sono stati osservati nuovi segnali di sicurezza nei setting neoadiuvante e adiuvante. Inoltre, l’aggiunta di durvalumab alla chemioterapia neoadiuvante è risultata coerente con il profilo già noto di questa combinazione e non ha compromesso la possibilità per i pazienti di completare la chirurgia rispetto alla sola chemioterapia neoadiuvante. Gli eventi avversi di Grado 3 e 4 per ogni causa si sono verificati nel 69% dei pazienti trattati con durvalumab e nel 68% di quelli trattati con la chemioterapia neoadiuvante.
Oltre allo studio NIAGARA, durvalumab viene analizzato nel carcinoma della vescica in stadio iniziale e avanzato in varie combinazioni terapeutiche, inclusa la malattia non muscolo-invasiva (POTOMAC), pazienti con MIBC non eleggibili o che rifiutano il cisplatino (VOLGA) e malattia localmente avanzata o metastatica (NILE).