Tra il dire e il fare c’è di mezzo l’esperienza, la competenza, una chiara visione, una buona dose di realismo e, soprattutto, la volontà e la predisposizione al cambiamento. Possibilmente in meglio. In questa cornice valoriale si colloca uno degli ultimi approfondimenti che SIMM, Società italiana di leadership e management in medicina , e l’Associazione Periplo hanno condotto nell’ambito del progetto SMART, Soluzioni e Metodi Avanzati di Riorganizzazione Territoriale in sanità, intitolato Best Setting Model: Requisiti minimi e fattori abilitanti per la deospedalizzazione delle terapie “OSP”, realizzato con il sostegno non condizionante di Roche, la collaborazione di IQVIA e il coordinamento di OVER, in cui viene affrontato il tema della somministrazione di medicinali classificati H-OSP sul territorio in continuità con l’ospedale, con l’obiettivo ultimo di decongestionare gli ospedali ma, soprattutto, di abbracciare le nuove prospettive di assistenza territoriale e prossimità di cura che dovranno caratterizzare la sanità di domani.
“In un contesto sociosanitario caratterizzato dall’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione e dalla crescente complessità dei bisogni di salute – sottolinea Mattia Altini, Presidente SIMM – il paradigma dell’assistenza ha subito una radicale trasformazione passando dal modello basato sull’assistenza nelle fasi acute della malattia ad un modello che necessariamente deve poter gestire, in modo sostenibile, la patologia nel lungo termine e in un contesto di cronicità e comorbidità. L’arrivo della pandemia da COVID-19 ha messo in luce le varie fragilità dei disegni organizzativi del nostro sistema sanitario, in particolare si sono palesate le criticità legate ad una gestione eccessivamente ospedalocentrica di buona parte dei percorsi delle patologie croniche; in questo scenario, è emersa la necessità di evolvere il modello assistenziale, nell’ambito delle patologie oncologiche, integrando sempre di più le cure con i servizi territoriali e sociali, ipotizzando la costruzione di una “oncologia di prossimità”, che si estende nel Territorio, arrivando fino al domicilio del paziente per offrire una presa in carico completa che migliori i punti di contatto con gli ospedali e le organizzazioni sanitarie, riducendo il carico di complessità del paziente integrando le professionalità dei diversi clinici coinvolti nel percorso di cura”.
“Questo numero rilevante di persone – osserva dal canto suo Gianni Amunni, Presidente dell’Associazione PERIPLO – presenta bisogni assistenziali molto diversi che vanno dall’altissima intensità (CAR-T) a problematiche di tipo sociosanitario. Nell’attuale organizzazione una domanda così rilevante e articolata trova un collo di bottiglia rappresentato da una oncologia solo ospedaliera. Occorre allora ripensare l’organizzazione dei percorsi mettendo a disposizione dell’oncologia nuovi setting assistenziali territoriali che si integrino in una regia unica con quelli tradizionali ospedalieri. I processi di potenziamento della medicina territoriale, divenuti ineludibili dopo la pandemia, rappresentano un’occasione unica per spostare parte del percorso oncologico fuori dalle mura ospedaliere in ambiti assistenziali non solo più vicini al paziente ma anche più appropriati rispetto ai bisogni espressi”.
“Stiamo assistendo – osserva quindi Alessandro Padovani, Presidente della Società italiana di neurologia – ad un profondo cambiamento dei bisogni assistenziali che rifuggono dal tradizionale approccio centrato sulla malattia e che richiede, nella logica della complessità, un approccio integrato per problemi e bisogni. Non vale più il concetto di una malattia, una terapia, perché da tempo la persona malata ha più condizioni cliniche, le quali evolvono interessando aspetti somatici multipli così come dinamiche relazionali e psico-sociali idiosincratiche, che pongono il Sistema Sanitario in una dimensione nuova, non del tutto a suo agio con la logica della Medicina Basata sull’Evidenza e del PDTAR. Un Sistema sanitario che non può più aspettare che la malattia si esprima nella sua identità sindromica, ma deve porsi in forma proattiva identificando fattori di rischio, predisposizioni, comportamenti, metodi di screening, metodi di diagnostica avanzata, attivando percorsi integrati orizzontali e verticali, predisponendo, attraverso la digitalizzazione e il trasferimento dei dati, una gestione tempestiva e puntuale. Tale approccio appare ancora più vero per la neurologia e per le malattie neurologiche, che nel nostro Paese rappresentano la principale causa di disabilità nonché tra le principali cause di mortalità”.
Il PNRR e il DM 77/2022 – scrive il gruppo di lavoro nelle conclusioni del Paper – delineano un nuovo assetto organizzativo della sanità a livello territoriale, definendo e finanziando nuovi setting assistenziali come Ospedali e Case di Comunità. Questo rende possibile avviare un processo di deospedalizzazione parziale del percorso dei pazienti oncologici e neurologici. Nello specifico, la somministrazione di terapie OSP rappresenta una tra le attività che più contribuisce alla congestione degli ospedali, la cui gestione necessita di essere riconfigurata a seguito dell’evoluzione normativa. Partendo da questo, l’analisi condotta dal gruppo di lavoro SMART Care “Best Setting Model” ha permesso di identificare i requisiti strutturali, organizzativi e tecnici che permettano di rendere i presidi territoriali strutture assimilabili ad ambiente ospedaliero per la somministrazione delle terapie OSP.
Dalla teoria normativa alla pratica, le esperienze dei Case Histories dimostrano come sia possibile mettere a terra questi requisiti nelle Case di Comunità, nel pieno rispetto della sicurezza e della qualità delle cure, in linea con quelle ricevute a livello ospedaliero.
Il gruppo di lavoro ha definito quindi delle linee guida di implementazione, ritenute fattori abilitanti per dare ulteriore stimolo allo sviluppo di iniziative di deospedalizzazione delle terapie OSP in modo efficace, sicuro e graduale:
- Identificare meccanismi di governance condivisi, ovvero garantire una “cabina di regia” unitaria, affidata al team specialistico ospedaliero, che deve essere chiamata a declinare il percorso nei livelli di nodi della rete;
- Coinvolgere, ingaggiare e formare gli attori chiave, anche quelli che fino ad oggi hanno avuto ruolo di secondo piano nel percorso, come MMG, IFeC, infermieri e farmacisti delle Case di Comunità;
- Stratificare i pazienti per l’accesso ai percorsi, da parte del team specialistico ospedaliero, per determinare il percorso di cura più appropriato lungo i setting assistenziali;
- Implementare modalità e strumenti per la condivisione di informazioni, per garantire che i dati clinici siano condivisi e accessibili tra i diversi nodi della rete tramite sistemi informativi integrati;
- Seguire un approccio graduale e adattabile ai contesti regionali, ovvero seguire un percorso di deospedalizzazione che parta dalle attività a minor complessità assistenziale e identificare archetipi organizzativi che permettano di adattarsi ai diversi contesti.
Relativamente all’ultimo punto, il gruppo di lavoro ritiene che definire archetipi organizzativi sia elemento chiave per stimolare ulteriormente esperienze di deospedalizzazione, con un approccio adattabile che tenga conto delle caratteristiche geografiche del territorio, dell’organizzazione della patologia, delle attività deospedalizzate e dell’ente di appartenenza e modalità di formazione del personale.