La porpora trombotica trombocitopenica (TTP) non è solo una patologia dal nome difficile, è anche una malattia ultra-rara: l’incidenza della sua forma acquisita (aTTP), di origine autoimmune, che corrisponde al 95% dei casi totali, è di circa 2-6 casi per milione di persone per anno. Pur essendo una patologia invalidante, e con una percentuale di morte che può arrivare a 90% se non trattata, chi ne è affetto non viene ancora seguito in tutta Italia in aderenza con le linee guida prodotte nel 2021. La diagnosi arriva spesso in ritardo e anche le visite di follow possono essere carenti. Ma sono le disomogeneità di presa in carico a livello regionale a destrare preoccupazione tra gli esperti e a impattare non poco sulla vita dei pazienti che si vedono costretti a spostarsi da una regione all’altra per curarsi. Forte la richiesta di inserimento nei LEA del test ADAMST13 necessario per diagnosi e follow-up e per abbattere le barriere regionali di accesso.
Di questi temi, e di presa in carico del paziente, si è parlato il 5 luglio a Roma, in occasione della seconda giornata nazionale della Porpora Trombotica Trombocitopenica, nel corso di un evento promosso dall’Associazione Nazionale Porpora Trombotica Trombocitopenica Onlus (ANPTT) in partnership con Sanofi e in collaborazione con SICS Società Italiana di Comunicazione Scientifica e Sanitaria. L’incontro, moderato dal giornalista Corrado De Rossi Re, ha visto la partecipazione di Massimo Chiaramonte, Presidente ANPTT Onlus, Federica Pasella, Vice Presidente ANPTT ONLUS, On. Ilenia Malavasi, Membro XII Commissione Affari Sociali, PD, On. Gian Antonio Girelli, Membro XII Commissione Affari Sociali, PD-IDP, Avv. Annunziata Piccolo, paziente, Vanessa Agostini, Consigliere SIdEM, Società Italiana di Emaferesi e Manipolazione Cellulare, Genova, Luana Fianchi, Policlinico Universitario Agostino Gemelli, Roma, Stefania Russo, Psicologa Docente presso la scuola di formazione “Soave sia il Vento”, Elvira Grandone, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza e Fulvia Filippini, Country Public Affairs Head, Pharma and Vaccines & Global Public Affairs Strategic Projects Sanofi
Un’occasione per richiamare l’attenzione sulla patologia e, in modo particolare, sui bisogni insoddisfatti dei pazienti e sull’impatto che questa patologia ha sulla loro vita a livello sociale e psicologico. Accelerazione e uniformità sono state le parole chiave della giornata a cui si è aggiunta la parola collaborazione. Il fattore tempo è determinate non solo per una migliore riuscita dei trattamenti, ma soprattutto per la sopravvivenza delle persone con Porpora Trombotica Trombocitopenica. L’accesso gratuito al test ADAMST13 e l’inserimento nei Lea dello stesso è quindi il passo da compiere senza il quale difficilmente la condizione dei pazienti potrà migliorare. Per fare questo però serve collaborazione da parte di tutti gli stakeholders.
Come ricordato da Luana Fianchi del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, la Porpora Trombotica Trombocitopenica acquisita (aTTP), o sindrome di Moschowitz, è una microangiopatia trombotica rara e potenzialmente letale se non viene individuata in tempi brevi. Per riconoscerla viene in aiuto del clinico quella che in gergo viene definita la pentade: “piastrinopenia (70-100% dei casi), coinvolgimento neurologico (50-90% dei casi), anemia emolitica microangiopatica (70-100% dei casi), alterazioni renali (50%) e febbre (25%)”, ha detto Fianchi aggiungendo però che tutti questi aspetti insieme sono presenti in “meno del 10% dei casi” e ciò rende la diagnosi molto più difficile. Ci sono però dei sintomi da tenere presente quali “cefalea, confusione, stroke, coma e convulsioni, manifestazioni renali più o meno marcate, dolori addominali e coinvolgimento cardiaco con ischemia”, ha precisato l’esperta. Dal punto di vista dell’ematologo, in presenza di piastrinopenia e anemia e danno d’organo, si passa alla ricerca degli schistociti e, se positivi, “avviare il dosaggio dell’attività di ADAMST13”. In questo contesto il fattore tempo è fondamentale. “Le linee guida del 2021 raccomandano di iniziare lo scambio plasmatico entro le 4-8 ore dalla diagnosi sospetta e di effettuare il test dell’ADAMST13 entro le 72 ore perché ciò consente di utilizzare il farmaco cardine che ha cambiato la prognosi di questa malattia”, ha concluso Fianchi aggiungendo anche che da studi sappiamo che spesso non è così.
Per Vanessa Agostini, Consigliere della Società Italiana di Emaferesi e Manipolazione Cellulare (SIdEM), la aTTP è una vera e propria “emergenza ematologica”. Il paziente deve essere seguito con un approccio multidisciplinare e uno dei trattamenti cardine è caratterizzato dalla plasmaferesi e proprio per questo motivo il plasma diventa prezioso per questi pazienti. “Nonostante le nuove terapie che ci consentono di utilizzare minori quantità di plasma, continuiamo ad averne grande bisogno”, ha proseguito Agostini. L’appello dunque è rivolto ai donatori “periodici e a quelli che ancora non si sono avvicinati a questo mondo perché il plasma è il vero driver in tutti i programmi di autosufficienza nazionali sia per l’utilizzo clinico sia per ottenere farmaci plasmaderivati”, ha concluso.
La definisce come un “gemello siamese a volte difficile da controllare”, Annunziata Piccolo che da dieci anni convive con la sindrome di Moschowitz. Una malattia complicata che impone una conoscenza e una riscoperta di sé stessi. “Tutti conoscono la lotta che dobbiamo affrontare per uscire dall’ospedale, ma pochi sanno quello che ci portiamo dentro dopo”, ha raccontato Piccolo facendo riferimento ai limiti fisici ai quali imparare a sottostare e alle implicazioni psicologiche che inevitabilmente entrano a far parte della vita dei pazienti. “La malattia c’è” ha detto, ed è inutile non vederla. Bisogna accoglierla, capirla e affrontarla. Per fare questo però serve l’impegno della ricerca e delle istituzioni. “Cerchiamo di incrementare la ricerca per far sì che non resti questo nemico sconosciuto dentro di noi”, ha concluso Piccolo senza nascondere l’emozione nel dire che non senza timore sta cercando di mettere al mondo una nuova vita. “Dio solo sa quanto ho paura che questo mio nemico in corpo non aggredisca questo povero cucciolo che sta provando a crescere dentro di me. È chiaro che si ha paura” ma, ricorda, dobbiamo fare in modo che anche “una gravidanza non rimanga qualcosa di ignoto”.
E spesso rimane ignota anche possibilità di curarsi nella propria regione. A ricordarlo con forza è stata Federica Pasella, Vice Presidente ANPTT ONLUS. Il paziente si trasforma in una sorta di “turista sanitario che dalla Sardegna va in Lombardia per fare il test ADAMST13”, test questo che è importante non solo al momento della diagnosi ma anche per tutto il follow-up per intercettare una eventuale recidiva. In alcune regioni italiane il test è rimborsato in altre, invece, arriva a costare fino a 200 euro e questo non è più pensabile: “serve l’inserimento nei Lea” di tale test.
La presa in carico del paziente con aTTP deve seguire un approccio multidisciplinare perché ha importanti risvolti sociali. Per Elvira Grandone dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo non è solo una questione che riguarda l’ematologo o che una volta affrontata la fase della diagnosi e quindi dell’emergenza-urgenza si può considerare risolta. È indispensabile guardare a tutto ciò che viene dopo la diagnosi, dopo il ricovero in ospedale, quando si è a casa. Oggi “non è stata identificata neanche una figura o più figure professionali che possano fare il fare follow-up per questi pazienti”, ha detto Grandone. Inoltre andrebbe affrontata questa patologia in ottica di medicina di genere. “La gran parte delle persone colpite da questa patologia sono giovani donne ed è anche facile pensare che i fattori di rischio che predispongono al primo evento e agli eventi successivi saranno diversi da quelli di un uomo e quindi i percorsi devono essere necessariamente differenziati”. Certo è che serve rendere sostenibili questi percorsi tramite una rete efficace all’interno delle singole regioni e poi a livello nazionale per impedire una migrazione sanitaria a cui molti pazienti sono costretti. “Serve una alleanza e serve tradurre le linee guida in PDTA poi applicati con conseguente monitoraggio”.
Il supporto psicologico è sicuramente parte integrante della presa in carico. In una patologia come questa, ma anche più in generale in una malattia che ti colpisce in modo inaspettato, la tendenza del paziente è quella di identificarsi in quella condizione. Un prima e un dopo. Cancellare la vita precedente per focalizzarsi solo sulla malattia. Il supporto psicologico può aiutare i pazienti, e le loro famiglie, a scardinare questo meccanismo. Ne è convinta Stefania Russo, psicologa docente della scuola di formazione Soave sia il Vento. “Da una malattia può nascere una possibilità”, ha detto l’esperta. Il meccanismo dell’identificazione con la propria malattia è “una risposta del tutto naturale dell’essere umano a propria difesa – ha spiegato Russo – che scatta nel momento stesso in cui si viene a conoscenza della malattia”. Il supporto psicologico “serve proprio per aiutare il paziente a de-identificarsi dalla malattia e a portarla nella propria vita”, serve a non dimenticare la vita trascorsa prima della malattia. “Integrazione con la malattia e non identificazione” è il concetto cardine per convivere con essa.
“Il tempo è vita quando si parla di malattie rare o ultra rare”, ha ricordato l’Onorevole Ilenia Malavasi, Membro della XII Commissione Affari Sociali, PD. Nel nostro paese le eccellenze ci sono, ma per raggiungere una diagnosi in modo tempestivo è necessario puntare sulla formazione in ambito di emergenza-urgenza e sulla medicina territoriale. “È evidente che bisogna fare di più”, ha detto l’Onorevole. Ma c’è bisogno anche di sensibilizzare le comunità perché le malattie rare devono diventare un problema sociale collettivo, non solo di chi ne è affetto, “anche rispetto alle conseguenze non solo fisiche ma anche per l’impatto della ricaduta che questa malattia ha sulla qualità di vita delle persone che ne vengono colpite”. Le comunità vanno accompagnate in un percorso di consapevolezza collettiva partendo dalle scuole. La proposta lanciata è quella di una collaborazione tra ministero della Salute e ministero dell’Istruzione per sensibilizzare i ragazzi “al tema del dono” in generale non solo di sangue o plasma ma anche di organi, ha precisato l’Onorevole. “Essere generosi significa essere responsabili e significa sentire la responsabilità di essere una comunità”.
C’è poi il grande tema delle diversità regionali e anche su questo Malavasi risponde: “non è possibile che nel 2023 i cittadini italiani abbiano differenza regionali anche molto evidenti perché questo va a ledere il diritto alla salute”. E ancora, a proposito di questo, l’Onorevole ha mostrato qualche perplessità sulla possibilità di risolvere il problema tramite l’autonomia differenziata e l’analisi dei LEP: “il rischio potrebbe essere quello di aumentare le differenze regionali anziché diminuirle”.
Dello stesso avviso è anche l’Onorevole Gian Antonio Girelli che, non senza imbarazzo, rileva come ci sia troppo spesso uno scollamento tra quella che è la realtà, il vissuto quotidiano, dei pazienti e il linguaggio della politica e dei decisori. Il compito del Parlamento, ha detto Girelli, “è quello di rispettare la Costituzione del nostro Paese, che prevede che tutti gli individui che vivono e sono presenti sul nostro territorio debbano avere il massimo della risposta in termini di bisogni di salute. Da questo punto di vista il pianeta delle malattie rare è particolarmente critico perché da troppo tempo non si danno risposte”. È necessario quindi un cambiare approccio e “puntare molto sulla formazione di personale sanitario che sappia individuare i primi sintomi di questa malattia per intervenire immediatamente”. La formazione e l’intervento sulla medicina del territorio necessità ovviamente di stanziamenti a riguardo. Se non si interviene per l’Onorevole il rischio sarà quello di avere un futuro pieno di opportunità ma che perde di vista il fine ultimo che è quello di “salvare la vita alle persone”.
Non solo parole. Congiuntamente Onorevole Malavasi e Onorevole Girelli hanno depositato una interrogazione parlamentare per monitorare l’applicazione delle linee guida elaborate nel 2021 e poi capire come intervenire per migliorare l’intero percorso di presa in carico del paziente in ottica di uniformità nazionale. Una risposta chiara alle richieste dei pazienti.
L’impegno preso dai politici è stato commentato positivamente dal presidente dell’Associazione Nazionale Porpora Trombotica Trombocitopenica Onlus, Massimo Chiaromonte, che ha altresì ribadito l’impegno a partecipare a monitorare. “Come associazione siamo sempre pronti al dialogo e alla partecipazione fattiva”, ha detto. “Noi vogliamo prendere parte a tutte le azioni delle Istituzioni e alla stesura di un PDTA condiviso”. È stato detto, “il tempo è vita” e bisogna dar corso a questa frase “per chi oggi c’è, per chi non c’è più e per chi arriverà dopo perché proprio loro devono avere qualcosa di migliore e di uniformato”. È necessario collaborare ma, ha concluso Chiaromonte “noi vogliamo essere copiloti e guidare insieme il cambiamento proprio per migliorare il nostro mondo e anche quello degli altri”.
“Accelerare e uniformare sono le parole chiave di questa giornata dedicata alla porpora trombotica trombocitopenica”, ha ribadito Fulvia Filippini, Country Public Affair Head, Pharma Vaccines & Global Public Affairs Strategic Project di Sanofi. “Accelerare perché c’è bisogno di risposte concrete, si è fatto tanto rispetto ad un anno fa ma non è ancora sufficiente. L’aggiornamento dei Lea è una priorità per dare avvio al processo di uniformità regionale di accesso alle cure che tanto chiedono i pazienti. Siamo impegnati da oltre 30 anni nel campo delle malattie rare e ultra-rare, per la ricerca e per il supporto a pazienti e caregiver, e continueremo a lavorare con impegno per portare innovazione”.