Finanziamenti, collaborazione tra pubblico e privato, autorizzazione all’uso in emergenza e miglioramenti a livello di catena di approvvigionamento: sono queste le strategie che hanno consentito di ridurre notevolmente i tempi di sperimentazione dei vaccini contro il COVID-19 e di cui si dovrebbero tenere conto in futuro.
Dal 2000, il tempo medio di sviluppo di nuovi farmaci è di circa dieci anni. Anche lo sviluppo di un vaccino, dai test clinici alla sua approvazione, impiega più o meno lo stesso tempo, dai nove ai 13 anni. Ma con la pandemia di COVID-19, il tempo di sviluppo si è ridotto a 11 mesi. Chiaramente le circostanze sono state eccezionali e, per trovare un confronto recente, bisogna riandare agli anni ’60, quando si mise a punto un vaccino contro la parotite in quattro anni.
Gli studi suggeriscono che il processo di approvazione più rapido ha salvato migliaia, se non centinaia di migliaia, di vite. E anche le evidenze raccolte in modo diverso dalla tradizionale sperimentazione clinica sui farmaci sembrano aver fatto avanzare più rapidamente i vaccini. Molti esperti che si chiedono, ora, se sia possibile replicare le stesse condizioni per altri farmaci, oggi che le autorità regolatorie e le aziende hanno visto la possibilità dell’approvazione in emergenza sotto un altro punto di vista.
Secondo Marc Helberg – managing vice presidente di Pariveda, agenzia USA di consulenza per il business – per accelerare lo sviluppo di nuovi farmaci servirebbero molti finanziamenti e una stretta collaborazione tra azienda farmaceutiche e ricercatori pubblici. In questo processo rivestirebbero un ruolo fondamentale anche i progressi tecnologici e il coinvolgimento dei pazienti, nonché la catena di approvvigionamento, ostacolo inaspettato per i vaccini durante la pandemia. Per evitare eventuali interruzioni in futuro sono necessari nuovi processi e soluzioni nel settore logistico.
Sebbene non sia realistico ipotizzare che ogni nuovo farmaco raggiunga il mercato in meno di un anno, ripensare la progettazione e l’esecuzione di studi clinici – alla luce di ciò che è successo con la pandemia – potrebbe oggettivamente ridurre i tempi del processo di sviluppo dei medicinali.