A fronte di cinque miliardi di dollari spesi ogni anno dalle aziende farmaceutiche in programmi di supporto ai pazienti, solo il 3% di questi effettivamente li usa. Prendendo in considerazione le persone che hanno usato un programma di supporto almeno una volta, la percentuale sale leggermente, arrivando all’8%. A evidenziarlo è un sondaggio condotto in USA da Phreesia Life Science, società che ha una piattaforma che registra i contatti tra pazienti e punti di cura. L’indagine ha coinvolto quasi cinquemila persone che si sono registrate alla piattaforma per sottoporsi a visite mediche, tra febbraio e marzo.
Il motivo principale di un uso così scarso di questi strumenti sarebbe la mancanza di consapevolezza, con meno di un quarto dei pazienti, il 23%, che afferma di avere “molta” e “moltissima” familiarità con i programmi di supporto al paziente, mentre il 18% dice di avere una “certa familiarità”. L’ ostacolo più grande sembra essere proprio la “poca familiarità” nell’utilizzo di questi programmi, con i pazienti che spesso non conoscono i dettagli e non sanno come, e nemmeno se, potrebbero trarne vantaggio.
Il gap di conoscenza tra i pazienti varia, comunque, in base alla fonte dalla quale hanno ricevuto le informazioni. Ad esempio, il 53% dei pazienti dichiara di essere venuto a conoscenza del programma dal suo medico e il 55% degli intervistati afferma che è proprio questa figura a doverne parlare, prima di altre. Tuttavia, solo il 10% delle persone viene a conoscenza dei programmi via internet. Allo stesso modo, solo il 14% ha notizie dei programmi dai farmacisti e il 32% si aspetta di ricevere informazioni proprio da questi operatori sanitari.
Questo vuol dire, per le aziende, che non devono sempre necessariamente passare per i medici, che restano comunque una fonte irrinunciabile, perché c’è l’opportunità di espandere l’educazione al paziente tramite i farmacisti o altri canali. In sostanza, dunque, le aziende farmaceutiche dovrebbero cercare di collaborare con le farmacie, con materiali da esporre in loco, o di coinvolgere i farmacisti, oltre che creare programmi di supporto ai pazienti omnicanale che possano raggiungere il pubblico giusto.