L’Agenzia Italiana del Farmaco ha approvato la rimborsabilità di olaparib, una nuova terapia mirata, nel trattamento di prima linea di mantenimento del carcinoma ovarico e nel trattamento del carcinoma mammario metastatico triplo negativo che presentano la mutazione genetica.
Olaparib, capostipite della classe dei PARP inibitori, “sfrutta” il difetto molecolare indotto dalla mutazione per potenziare l’efficacia delle cure. Nel 2020, in Italia, sono stimati 55mila nuovi casi di carcinoma della mammella, il 5-7% è legato a fattori ereditari, il 50% dei quali riferibile a una mutazione BRCA (1.925). Di 5.200 nuove diagnosi di tumore dell’ovaio stimate nel 2020 nel nostro Paese, il 25% è riconducibile ad alterazioni in questi stessi geni (1.300).
“Gli studi sui geni BRCA1 e BRCA2 rappresentano la frontiera più avanzata nel campo dell’oncogenetica e la punta di diamante della ‘medicina di precisione’ nella ricerca e sviluppo di nuove terapie personalizzate su base molecolare – afferma Saverio Cinieri, Presidente eletto Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) -. Da tempo vi sono evidenze sul ruolo dell’alterazione delle due proteine nei tumori della mammella e dell’ovaio. Conoscere lo stato mutazionale dei geni BRCA è molto importante ed il test, eseguito su sangue periferico o su tessuto tumorale, dovrebbe essere effettuato su tutte le pazienti al momento della diagnosi. È questa la via da seguire per definire le migliori strategie terapeutiche e per iniziare il percorso familiare che permette l’identificazione di persone sane con mutazione BRCA, nelle quali impostare programmi per ridurre il rischio di sviluppare queste neoplasie. Le strategie di prevenzione nei familiari sono però ancora a macchia di leopardo. Infatti solo alcune Regioni hanno approvato la rimborsabilità del test genetico BRCA e dell’eventuale percorso di prevenzione (controlli regolari ed eventuale asportazione dell’organo) per i familiari delle pazienti”.
AIFA ha approvato la rimborsabilità di olaparib per il trattamento di mantenimento di prima linea di pazienti adulte con tumore ovarico avanzato (stadio III e IV) epiteliale di grado elevato o con tumore delle tube di Falloppio o primitivo del peritoneo, che presentano una mutazione di BRCA1 o BRCA2 (germinale e/o somatica) e che hanno mostrato una risposta completa o parziale dopo chemioterapia standard di prima linea a base di platino.
“Mancano efficaci strumenti di screening per il carcinoma ovarico e il 75-80% delle pazienti si presenta già in fase avanzata al momento della diagnosi – spiega Nicoletta Colombo, Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. Inoltre il 70% delle donne con carcinoma ovarico in stadio avanzato va incontro a recidiva entro due anni. I risultati dello studio internazionale SOLO-1 che ha coinvolto 391 donne, pubblicati sulla prestigiosa rivista ‘New England Journal of Medicine’, hanno evidenziato come il trattamento di mantenimento di prima linea con olaparib riduca la percentuale di recidive nelle pazienti con tumore ovarico BRCA mutato. I dati di follow-up a cinque anni dallo studio hanno mostrato come olaparib riduca il rischio di progressione della malattia o morte del 67% e aumenti la sopravvivenza libera da progressione ad una mediana di 56 mesi rispetto ai 13,8 mesi del placebo. A cinque anni, il 48,3% delle pazienti trattate con olaparib è rimasto libero da progressione di malattia rispetto al 20,5% del placebo. L’esecuzione del test BRCA al momento della diagnosi assume un ruolo fondamentale. Solo in questo modo siamo in grado di indentificare tempestivamente le pazienti che possono beneficiare di un trattamento in grado di cambiare la storia della malattia e, per la prima volta, con intento curativo in fase avanzata”.
Oggi, in Italia, vivono 37mila persone con carcinoma mammario metastatico; circa il 7% si presenta già alla diagnosi in questo stadio. L’agenzia regolatoria ha decretato la rimborsabilità di olaparib per il trattamento, dalla prima linea e in quelle successive, di una forma di tumore del seno particolarmente aggressiva, quella triplo negativa avanzata o metastatica, con mutazioni BRCA1/2 (germinali).
“Il tumore al seno triplo negativo, in cui rientrano il 15% delle diagnosi di carcinoma mammario, non presenta i recettori degli estrogeni, del progesterone e della proteina HER2 – afferma Pierfranco Conte, Professore di Oncologia dell’Università di Padova e Direttore dell’Oncologia Medica 2 dell’Istituto Oncologico Veneto -. Questo significa che non risponde alla terapia ormonale e ai farmaci che hanno come bersaglio HER2. È la forma più aggressiva, in cui il rischio di ricaduta a distanza aumenta rapidamente a partire dalla diagnosi e raggiunge il picco nei primi 3 anni. Circa il 5% di tutte le pazienti con carcinoma mammario è portatore di una mutazione germinale del gene BRCA. La percentuale sale al 15% proprio nelle forme triplo negative. I tumori al seno associati alle mutazioni BRCA1 e BRCA2 tendono a svilupparsi in donne più giovani rispetto alle neoplasie non ereditarie, in forme più aggressive e con significativi impatti psicologici e sociali. Da qui la necessità di opzioni terapeutiche innovative che garantiscano quantità e qualità di vita. Nello studio internazionale OlympiAD, pubblicato su ‘New England Journal of Medicine’, che ha coinvolto 302 pazienti con carcinoma mammario BRCA mutato e HER2- negativo (HR-positivo o triplo negativo), olaparib ha ridotto il rischio relativo di progressione di malattia o morte del 42% rispetto alla chemioterapia. Le pazienti trattate con la terapia mirata presentavano, inoltre, un tasso di risposta obiettiva del 52%, il doppio rispetto al braccio di chemioterapia (23%). Olaparib è una terapia mirata in grado di prolungare in maniera significativa il controllo della malattia, mantenendo una buona qualità della vita e dilazionando la necessità di ricorrere alla chemioterapia”.
Il test BRCA
AIOM, in collaborazione con le principali società scientifiche coinvolte in questo campo della ricerca, ha stilato le Raccomandazioni per l’implementazione del test BRCA nelle pazienti con carcinoma mammario e ovarico (e nei familiari a rischio elevato di neoplasia). Le donne che ereditano la mutazione BRCA1 hanno una probabilità dal 60 all’80% di ammalarsi di tumore mammario e del 40% di sviluppare un tumore ovarico nel corso della vita. Le percentuali sono inferiori per il gene BRCA2, rispettivamente pari al 40 al 70% per la mammella e al 18% per l’ovaio. Anche gli uomini possono ereditare la mutazione genetica e, a loro volta, trasmetterla ai figli. I maschi con gene mutato sono più predisposti a manifestare il carcinoma mammario maschile e il carcinoma della prostata. Vi può essere un aumentato rischio in entrambi i sessi di neoplasie del pancreas. “L’individuazione della mutazione in una paziente di nuova diagnosi – conclude Saverio Cinieri – condiziona non solo la scelta della terapia ma, a cascata, permette anche di individuare tempestivamente i familiari portatori della stessa mutazione, prima che sviluppino un carcinoma correlato alla sindrome ereditaria della mammella e dell’ovaio. Proprio in queste due neoplasie è possibile attuare efficaci strategie di riduzione del rischio, che spaziano dalla sorveglianza intensiva alla chirurgia profilattica. In particolare, l’intervento di mastectomia bilaterale (rimozione chirurgica di entrambe le mammelle) è in grado di ridurre di circa il 90%, nelle donne sane, il rischio di sviluppare in futuro un tumore mammario. Dall’altro lato, l’asportazione chirurgica di tube ed ovaie (annessiectomia profilattica bilaterale) può prevenire la quasi totalità (95%) dei tumori ovarici su base genetico-ereditaria e contestualmente ridurre di oltre il 50% il rischio di carcinoma mammario. Negli Stati Uniti, dove il test BRCA è universale per tutte le pazienti colpite da tumore ovarico già da qualche anno, gli epidemiologi hanno stimato che le strategie di riduzione del rischio (mediche o chirurgiche), attuate sulle parenti sane positive al test preventivo, potrebbero portare ad una riduzione dell’incidenza del carcinoma ovarico del 40% in 10 anni. Questo risultato, in un tumore che ancora oggi non riconosce metodiche di screening e di prevenzione semplici ed efficaci, è di straordinaria importanza”.