(Reuters Health) – Dal 2023 i ricercatori in ambito farmaceutico più brillanti del Regno Unito faranno le valigie per lasciare un Paese leader mondiale nello sviluppo farmaceutico, mentre il numero dei trial clinici inizierà a ridursi.
È questo lo scenario post-Brexit disegnato da Pamela Kearns, professoressa di oncologia pediatrica all’Università di Birmingham, che ha condotto la sperimentazione BEACON sul neuroblastoma, un tipo di progetto basato su un modello di cooperazione che potrebbe essere a rischio con la Brexit.
Secondo la scienziata, a fare le spese dell’addio all’Europa sarà soprattutto l’area della ricerca per i farmaci contro malattie rare e tumori infantili, nella quale i centri hanno bisogno di collaborare con tutta Europa per reclutare un numero sufficiente di pazienti.
Le preoccupazioni di Kearns si fondano sulle stime dell’organismo britannico ABPI, secondo il quale ci sarà una fuga dei cervelli dal Regno Unito, in un settore che contribuisce all’economia per circa 3,55 miliardi di dollari e 47.500 posti di lavoro.
L’oncologa britannica ha trovato un rappresentante legale all’interno dell’UE per consentirle di continuare a svolgere un ruolo chiave negli studi clinici.
La ricercatrice ha anche preso contatti con un distributore di farmaci in Europa per avere i medicinali e aggiunto nuove disposizioni legali ai contratti per rispettare il GDPR europeo; strategie che potranno essere efficaci a lungo termine solo se il Regno Unito resterà strettamente allineato alle leggi regolatorie della ricerca dell’UE.
Nel frattempo, Bruxelles sta lanciando un nuovo portale e un database che aiuteranno a coordinare la progettazione, la raccolta dati e il controllo delle sperimentazioni in tutte Europa, un sistema dal quale la Gran Bretagna sarà probabilmente esclusa.
Secondo alcuni dirigenti, però, queste previsioni sarebbero troppo pessimistiche e il paese potrebbe riuscire comunque ad avere successo con un sistema di sviluppo e approvazione di farmaci agile, sganciato dall’UE. Questo perché “avere un singolo paese coinvolto nell’approvazione invece di 28 “potrebbe velocizzare le cose”, come dichiarato da Hugo Fry, responsabile UK di Sanofi.
In ogni caso, non sarà solo il Regno Unito a rischiare. Anche l’UE, infatti, potrebbe perdere supporto e competenze di un paese che negli ultimi 10 anni ha rappresentato in media il 28% delle domande di sperimentazione clinica in Europa.
La Gran Bretagna guida l’Europa nelle fasi iniziali di sperimentazione (I e II), soprattutto in campo antitumorale. Ecco perché, secondo gli esperti, il modo migliore per limitare i danni è che la Gran Bretagna resti strettamente allineata alle norme UE, in modo che i ricercatori possano mantenere collaborazioni e impedire la duplicazione di costi e pratiche burocratiche dovuti all’esistenza di due sistemi regolatori separati. Uno scenario, tuttavia, che potrebbe non avverarsi, visto che la Gran Bretagna vuole andare avanti per la sua strada da sola e cercherà di allinearsi all’UE “ove possibile”
Fonte: Reuters Health News
(Versione italiana per Daily Health Industry)