(Reuters Health) – I pazienti con carcinoma polmonare avanzato non a piccole cellule (NSCLC) trattati con nivolumab (Opdivo, BMS), anticorpo anti-PD-1, dopo quattro anni continuano a vivere meglio di quelli a cui è stato somministrato docetaxel.
È quanto emerge dai dati raccolti da quattro trial CheckMate pubblicati da The Lancet Oncology.
Nei due studi randomizzati CheckMate 017 e 057, la sopravvivenza complessiva a quattro anni è stata del 14% nei pazienti trattati con nivolumab rispetto al 5% di quelli trattati con docetaxel.
Prima dell’avvento dell’immunoterapia come trattamento di seconda linea per il NSCLC avanzato, la sopravvivenza a cinque anni dei pazienti con carcinoma polmonare metastatico era di circa il 5%.
Attraverso i quattro studi, i 664 pazienti trattati con nivolumab hanno avuto una sopravvivenza globale mediana di 10,3 mesi.
In CheckMate 003, lo studio con il follow-up più lungo, la sopravvivenza globale a sei anni è stata del 15%.
La sopravvivenza globale a quattro anni è risultata più alta nei pazienti con almeno 1% di espressione di PD-L1 (19%) rispetto ai pazienti con meno di 1% di espressione di PD-L1 (11%), ma la sopravvivenza globale non differiva significativamente tra i pazienti con istologia tumorale squamosa rispetto a quella non squamosa.
La sopravvivenza libera da progressione stimata a quattro anni era complessivamente dell’8% ed era anche più prolungata nei pazienti con almeno l’1% di espressione di PD-L1.
Tra i 122 pazienti con una risposta completa o parziale a nivolumab, la durata mediana della risposta è stata di 19,1 mesi. La sopravvivenza globale mediana, dal momento della risposta, è stata di 63,2 mesi e la sopravvivenza globale stimata a quattro anni è stata del 53%.
I dati sulla sicurezza a lungo termine – raccolti da tutti e quattro gli studi – non hanno rivelato nuovi segnali particolari nel campo della sicurezza. Circa il 10% dei pazienti ha manifestato eventi avversi gravi correlati al trattamento e il 9% dei pazienti ha subito eventi avversi correlati al trattamento che hanno portato all’interruzione di nivolumab.
La polmonite ha rappresentato il più frequente evento avverso correlato al trattamento. Si è verificata nel 3% dei pazienti. Gli eventi avversi più comuni correlati al trattamento, e potenzialmente immuno-correlati, sono rappresentati dalle reazioni cutanee, con un’incidenza di 38,6 per 100 persone-anno di esposizione a nivolumab.
“Le nostre analisi forniscono prove del fatto che la risposta e il controllo della malattia con nivolumab influenzano in modo positivo e la sopravvivenza a lungo termine, anche dopo la progressione”, concludono i ricercatori. “Sono previste ulteriori analisi che valuteranno gli effetti di vari fattori sulla sopravvivenza a lungo termine con l’immunoterapia rispetto alla chemioterapia”.
Fonte: Lancet Oncol 2019
(Versione italiana per Daily Health Industry)