In Italia ogni anno si registrano 5.400 nuovi casi di tumori delle vie biliari, un gruppo di neoplasie rare ma in crescita. “La patologia nasce nelle cellule che compongono i dotti biliari che collegano il fegato all’intestino – afferma Lorenza Rimassa, Professore Associato di Oncologia Medica presso Humanitas University e IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano (Milano) -. Esistono diversi fattori di rischio conclamati tra cui alcune patologie croniche delle vie biliari ma anche alcuni stili di vita scorretti, come un eccessivo consumo di alcol, il fumo di sigaretta e soprattutto l’obesità e la sindrome metabolica. La diagnosi della malattia non è facile in quanto spesso il paziente non presenta sintomi evidenti. Infatti nel 25% dei casi il riscontro è totalmente casuale e dobbiamo di frequente intervenire su un cancro già in fase avanzata. Nonostante le percentuali di sopravvivenza siano ancora basse, grazie alla ricerca medico-scientifica vi sono stati nel corso degli anni degli indubbi progressi terapeutici”.
Se fino a tre anni fa era disponibile solo la chemioterapia, oggi gli specialisti possono ricorrere all’utilizzo di nuove terapie, quali immunoterapia e terapie a bersaglio molecolare, contro una malattia che presenta ancora molti bisogni insoddisfatti.
Uno degli ultimi farmaci approvati in Unione Europea è l’anticorpo monoclonale durvalumab (AstraZeneca) che viene utilizzato insieme alla chemioterapia.
“L’approvazione a livello europeo si basa sui dati dello studio internazionale TOPAZ 1 – prosegue Lorenza Rimassa -. I pazienti trattati con durvalumab hanno raddoppiato la sopravvivenza a 2 anni rispetto al placebo (OS del 24% vs 12%). Di recente, vi è stata una pubblicazione indipendente di real world data su 145 pazienti reclutati in 17 diversi centri oncologici italiani, che ha valutato nella pratica clinica l’uso di durvalumab insieme a gemcibabina più cisplatino ad un follow up mediano di 8,5 mesi. Sono stati confermati i risultati ottenuti, in termini di efficacia e di sicurezza, della combinazione di chemioterapia e immunoterapia rispetto alla sola chemioterapia. Il tasso di risposta complessiva è stato del 34,5% e quello di controllo della malattia dell’87,6%. La sopravvivenza libera da progressione della malattia si è attestata a 8,9 mesi mentre la sopravvivenza globale è di 12,9 mesi. Inoltre, la nuova combinazione risulta ben tollerata e si registrano pochi eventi avversi gravi”.